Rocca di Civitella, orgoglio borbone 150 anni dopo"Viva o' re" e sparisce il Tricolore dell'Unità d'Italia
Piccolo giallo (o provocazione) dopo il raduno dei nostalgici del Borbone: scomparso il Tricolore che sventolava dal 17 marzo per l'anniversario dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Scatta l’indagine dei carabinieri
CIVITELLA DEL TRONTO. Il giallo della bandiera sparita scoppia a Civitella alle 12,30 di ieri quando il maresciallo dei carabinieri piomba in piazza e comincia a indagare. Chi ha rubato il tricolore dal pennone più alto della fortezza? Il 17 marzo sventolava lì su (foto). Il governatore, Gianni Chiodi, lo guardava sull'attenti. Ieri si è dissolto ma loro, i nostalgici del Borbone, giurano di non saperne nulla. Alle 12 in punto i tradizionalisti del Regno delle due Sicilie sono sotto quel pennone e, urlando "Viva o' re", innalzano la loro bandiera. Anzi le loro bandiere.
FOTO L'orgoglio borbone va in scena sulla Rocca
La prima a salire è quella dello Stato Pontificio, bianca e gialla, poi quella dei Borbone mentre nella piazza d'armi della fortezza risuona l'inno reale della due Sicilie. Poco importa se le note escono da un paio di telefonini cellulari, perché il gesto simbolico di rinconquistare, nell'anno dell'unita d'Italia, l'ultimo baluardo borbonico è compiuto. Con lo sguardo al cielo, i tradizionalisti si commuovono davanti al simbolo del regno di Francesco II, l'ultimo dei re che, il 17 marzo del 1861, s'arrende a Capua e con la regina Maria Sofia fugge in esilio, mentre Vittorio Emanuele II proclama l'Italia. Tre giorni dopo, il 20 marzo del 1861, anche Civitella, presidiata da 291 borbonici, cede le armi ai 3800 uomini dell'esercito sardo-piemontese dopo quasi sei mesi d'assedio.
Questa è la storia, ma ieri mattina, mentre l'Italia celebra l'unità, i fedelissimi del Regno delle due Sicilie sfilano a Civitella con bandiere del Borbone e baschi rossi dei carlisti, cioè fedelissimi al re Carlo, e dicono: «Siamo qui per celebrare l'infausto centocinquantenario». Oppure, rivolgendosi a tanti tricolori che sventolano per le vie del borgo, arringano: «Queste bandiere festeggiano la distruzione».
Davanti alla tomba del comandante della guarnigione borbonica, l'irlandese Matteo Wade, che nel 1806 tenta invano di resistere al primo assedio francese, i tradizionalisti depongono una corona mentre Pasquale Sallusto precisa: «Non siamo nostalgici, né si tratta di una rievocazione folkloristica» ma afferma: «Siamo in contrasto con questa comunità di Civitella che ha preferito festeggiare eventi non eroici». E Mauro Di Giovine si raccomanda: «Ora saliremo sulla fortezza per noi sacra perché bagnata dal sangue di chi difese la libertà del Mezzogiorno».
Sono professionisti, magistrati, docenti universitari, come Paolo Caucci che li guida, venuti da Napoli e dalla Spagna, i tradizionalisti che allo scoccare del mezzodì salgono finalmente sulla fortezza. E' la 41esima volta che accade, perché il raduno si ripete ogni anno. Ma ieri era una sfilata diversa da tutte le altre, cominciata sabato con un piccolo - e neppure tanto - incidente diplomatico quando il sindaco di Civitella, Gaetano Luca Ronchi mette a disposizione dei borbonici la sala polivalente. Ma loro ci trovano un tricolore in bella mostra, quindi vanno via stizziti. Poi, ieri mattina, è stato un susseguirsi di frasi del tipo: «A distanza di 150 anni dall'infausto 1861» fino all'ultimo atto, vissuto in modo sacro, con le note dell'inno nazionale del Regno delle due Sicilie di Paisiello che risuonano stridule dai telefonini e le due bandiere, borbonica e papalina, che salgono sui pennoni.
Sì, ma il tricolore dov'è? «E' sparito», conferma il sindaco Ronchi, «i carabinieri indagano». «No, è stato ritrovato in un cassetto», sostiene invece il tradizionalista Di Giovine. E' un giallo che si stempera solo all'ora di pranzo a tavola, da Daniele Zunica che accoglie i tradizionalisti nel ristorante in piazza con un menu rigorosamente borbonico. Il piatto forte è il primo, si chiama per l'occasione pasticcio di zite di Francesco II.
FOTO L'orgoglio borbone va in scena sulla Rocca
La prima a salire è quella dello Stato Pontificio, bianca e gialla, poi quella dei Borbone mentre nella piazza d'armi della fortezza risuona l'inno reale della due Sicilie. Poco importa se le note escono da un paio di telefonini cellulari, perché il gesto simbolico di rinconquistare, nell'anno dell'unita d'Italia, l'ultimo baluardo borbonico è compiuto. Con lo sguardo al cielo, i tradizionalisti si commuovono davanti al simbolo del regno di Francesco II, l'ultimo dei re che, il 17 marzo del 1861, s'arrende a Capua e con la regina Maria Sofia fugge in esilio, mentre Vittorio Emanuele II proclama l'Italia. Tre giorni dopo, il 20 marzo del 1861, anche Civitella, presidiata da 291 borbonici, cede le armi ai 3800 uomini dell'esercito sardo-piemontese dopo quasi sei mesi d'assedio.
Questa è la storia, ma ieri mattina, mentre l'Italia celebra l'unità, i fedelissimi del Regno delle due Sicilie sfilano a Civitella con bandiere del Borbone e baschi rossi dei carlisti, cioè fedelissimi al re Carlo, e dicono: «Siamo qui per celebrare l'infausto centocinquantenario». Oppure, rivolgendosi a tanti tricolori che sventolano per le vie del borgo, arringano: «Queste bandiere festeggiano la distruzione».
Davanti alla tomba del comandante della guarnigione borbonica, l'irlandese Matteo Wade, che nel 1806 tenta invano di resistere al primo assedio francese, i tradizionalisti depongono una corona mentre Pasquale Sallusto precisa: «Non siamo nostalgici, né si tratta di una rievocazione folkloristica» ma afferma: «Siamo in contrasto con questa comunità di Civitella che ha preferito festeggiare eventi non eroici». E Mauro Di Giovine si raccomanda: «Ora saliremo sulla fortezza per noi sacra perché bagnata dal sangue di chi difese la libertà del Mezzogiorno».
Sono professionisti, magistrati, docenti universitari, come Paolo Caucci che li guida, venuti da Napoli e dalla Spagna, i tradizionalisti che allo scoccare del mezzodì salgono finalmente sulla fortezza. E' la 41esima volta che accade, perché il raduno si ripete ogni anno. Ma ieri era una sfilata diversa da tutte le altre, cominciata sabato con un piccolo - e neppure tanto - incidente diplomatico quando il sindaco di Civitella, Gaetano Luca Ronchi mette a disposizione dei borbonici la sala polivalente. Ma loro ci trovano un tricolore in bella mostra, quindi vanno via stizziti. Poi, ieri mattina, è stato un susseguirsi di frasi del tipo: «A distanza di 150 anni dall'infausto 1861» fino all'ultimo atto, vissuto in modo sacro, con le note dell'inno nazionale del Regno delle due Sicilie di Paisiello che risuonano stridule dai telefonini e le due bandiere, borbonica e papalina, che salgono sui pennoni.
Sì, ma il tricolore dov'è? «E' sparito», conferma il sindaco Ronchi, «i carabinieri indagano». «No, è stato ritrovato in un cassetto», sostiene invece il tradizionalista Di Giovine. E' un giallo che si stempera solo all'ora di pranzo a tavola, da Daniele Zunica che accoglie i tradizionalisti nel ristorante in piazza con un menu rigorosamente borbonico. Il piatto forte è il primo, si chiama per l'occasione pasticcio di zite di Francesco II.
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