Teramo, crac Di Pietro: altri testimoni in procura

I soldi della bancarotta venivano ripuliti anche al casinò di Campione d'Italia. La vicenda tocca lo studio Tancredi, socio di Chiodi

TERAMO. Per il crac Di Pietro, il caso di bancarotta che coinvolge società immobiliari sequestrate nello studio Chiodi-Tancredi, le indagini non sono affatto chiuse. Secondo indiscrezioni, da oggi il pubblico ministero Irene Scordamaglia dovrebbe sentire nel suo ufficio altre persone informate sui fatti. E tra queste potrebbero anche esserci personaggi molto noti. Personaggi che gli imprenditori arrestati avrebbero tirato in ballo quando il pm li ha ascoltati su loro stessa richiesta.

Intanto per tre dei quattro indagati della prima ora l'impianto accusatorio ha superato il primo vaglio, quello del tribunale del Riesame. I giudici aquilani lunedì hanno accolto per la sola Loredana Cacciatore - che è tornata dunque in libertà - il ricorso presentato per tutti dall'avvocato Cataldo Mariano, rigettandolo invece per Maurizio Di Pietro e Guido Curti, che restano nel carcere di Castrogno, e per Nicolino Di Pietro (fratello di Maurizio), da poco finito agli arresti domiciliari dopo venti giorni di carcere.

Un'altra cosa è certa: Carmine Tancredi, storico socio del presidente della Regione Gianni Chiodi e commercialista di Maurizio Di Pietro e Curti, non è indagato. Il coinvolgimento dello studio Chiodi-Tancredi nelle vicende degli arrestati appare evidente, ma non per questo implica elementi di reato. Per ora ci si deve limitare a dire che Tancredi è stato sentito come teste, che la guardia di finanza gli ha perquisito lo studio e che la Procura ha posto sotto sequestro preventivo le quote di due società che nello studio Chiodi-Tancredi hanno sede legale. Si tratta della Kappa Immobiliare Srl, costituita nel 2009 (l'1 per cento delle quote è intestato a uno sconosciuto pensionato, il 99% alla Dreamport Enterprises Limited con sede a Cipro), e della De Immobiliare Srl, costituita nel 2008 (l'1% delle quote è intestato allo stesso pensionato, il 99% alla Ruclesarn Investments Limited, sempre di Cipro). Per l'accusa sono il terminale dei soldi derivati da quattro fallimenti. Denari che - secondo la procura - sono stati trasferiti all'estero e poi fatti rientrare in Italia.

La vicenda che ha portato agli arresti dei quattro imprenditori sarebbe insomma una vicenda di crac pilotati e fiumi di soldi che - per l'accusa - dopo essere stati sottratti ai creditori dei fallimenti, sono stati depositati su conti svizzeri (la Procura teramana ha chiesto una rogatoria con la Svizzera che non è ancora finita), quindi in banche inglesi e, infine, nelle due società cipriote, proprietarie di quasi tutte le quote delle società Kappa e De. Somme che, secondo la procura, sono state usate per acquistare due appartamenti nel Qatar e uno stabilimento balneare a Roseto.

Per "ripulire" questi soldi sarebbe stato utilizzato anche il casinò di Campione d'Italia (Como), il più grande d'Italia. Qui, secondo l'accusa, Maurizio Di Pietro si è recato 11 volte, cambiando 299mila euro in fiches per celarne la provenienza. (d.v.)

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