La "Conversazione ritrovata" di Flaiano, il documentario diretto da Veleno presentato oggi nella sede del Centro
«Oggi si scrive per non passare inosservati», dice Ennio Flaiano. La massima, una delle centinaia che lo hanno reso tra gli aforisti più celebri della nostra letteratura, è del 19 maggio 1972: in una delle ultime interviste rilasciate all’amico, poeta e scrittore (oggi 92enne) Giuseppe Rosato, l’intellettuale pescarese parlava, a pochi giorni dal debutto dell’ultima farsa “La conversazione continuamente interrotta”, del suo rapporto con il teatro, «una cosa seria», diceva, anche se spesso nota come «l’autore è un pretesto». Quel lungo scambio è diventato un documentario (prodotto da Stefano Francioni Porduzioni, MuTeArt film e Fondazione Pescarabruzzo), dal titolo “La Conversazione ritrovata”, con la regia di Matteo Veleno, che scrive la sceneggiatura insieme a Maria Rosato su un soggetto co-scritto dal maestro Davide Cavuti, anche compositore delle musiche originali. Oggi alle 12 Cavuti l’ha presentata nella sede del Centro, insieme al direttore del quotidiano Luca Telese, al regista Matteo Veleno, alla sceneggiatrice Maria Rosato, al giornalista Domenico Ranieri e al prorettore dell'università D'Annunzio, Carmine Catenacci, tra proiezioni e dibattito. Presenti all'evento anche il professore Diego De Carolis docente dell'Università degli studi di Teramo, Dante Marianacci presidente della Casa della poesia Gabriele D’Annunzio, Angelo De Nicola giornalista e Antonio Consalvi amante delle opere di Flaiano. Fa da padrone l’intuizione dell’avatar: Flaiano, baffo e occhiale, “torna in vita” grazie al lavoro di Andrea Sisolfo, ma al progetto hanno partecipato anche Giulio Capone, Pietro Nissi, Emanuele D’Ancona, Lucio Rosato e Ilaria Muccetti. L’opera, che vede la collaborazione di Rai, Biblioteca Luigi Chiarini - Centro Sperimentale di Cinematografia, Abruzzo Film Commission e Centro Studi Nazionale Cicognini, mette in dialogo un Flaiano che spaventa per il fotorealismo, unito alla voce recuperata dai vecchi nastri, e il giovane Giuseppe Rosato, all’epoca dell’intervista quarantenne. Parlano di scrittura e palcoscenico, di quest’ultimo testo che il genio abruzzese scrisse per una pubblicazione Einaudi, poi messo in scena con la regia di Vittorio Caprioli e interpretato da Cochi e Renato e Paolo Bonacelli, quindi da Luciano Salce al “Teatro Argentina” di Roma nel 1978 con Giorgio Albertazzi, Gianni Bonagura, Mario Maranzana, Elisabetta Pozzi. Ma è sempre Flaiano, dietro le quinte, il tono caustico e l’aria malinconica, a rubare la scena. Per Cavuti, che Flaiano lo ha raccontato nel 2021 con “Un marziano di nome Ennio”, «questo film ci restituisce un profilo che non conoscevamo, dal suo amore per Goldoni alla centralità del valore del testo»