Terminata l'esperienza dei medici in Burundi: "Pronti a rimpatriare, carichi delle sensazioni provate"

13 Maggio 2025

"Sono già passate tre settimane, e siamo pronti a rimpatriare carichi delle sensazioni provate, emozioni subite, visioni e affetti difficili da intendere per chi non lo prova. Abbiamo raccontato il nostro arrivo, la gestione degli ambulatori e il difficile gesto chirurgico in sala operatoria; abbiamo visitato orfani e studenti di scuola primaria. In una povertà dilagante, erano comunque riconoscibili differenti stadi di povertà, dai professionisti che guadagnano fino a 25 € al mese, a chi davvero non ha nulla. E mentre voliamo su Addis Abeba per rimpatriare, tutti insieme siamo concentrati a riflettere. Silenziosi, con lo sguardo triste e emotivamente stanco.
Abituati e viziati dalla moderna realtà di una medicina ed ortopedia raffinata e sofisticata, ci troviamo spesso vittime di un sistema che ha complicato il rapporto tra il medico e il paziente.
Persi in congressi e convention, o dietro un'applicazione di AI per decodificare il valore di una patologia rincorrendo la più moderna strategia di tendenza, il nostro lavoro, la nostra missione, la nostra passione, si perde nella nebbia della tecnologia.
In questi giorni abbiamo riscoperto le radici dell'umanità, nelle terre incontaminate nel cuore dell'Africa, vivendo quotidianamente la crudele bellezza dell'indole dell'essere umano immerso nel suo naturale habitat, al contempo spaventoso ed affascinante. E' forse questa l'origine della civiltà, dove si riscopre il significato primordiale della relazione tra esseri umani?
E prima tra tutte quelle tra medico e paziente, colui che si prende cura e colui che soffre.
Il contatto umano, vero, arcaico, animale, puro, ci ha fatto riscoprire il profondo significato originale della nostra vocazione ad essere medici, a prenderci cura degli altri.
Senza obiettivi, senza finalità. Senza una lingua per comunicare, solo per aiutare. E talvolta anche solo con uno sguardo. 
Serve l'Africa per riscoprire noi stessi.
Serve l'atrocità di una natura che fa il suo corso per risvegliare il senso del nostro essere medici.
Serve scoprire valori diversi della vita e della malattia per comprendere nuovamente l'etica morale della nostra professione. Serve comprendere i propri limiti e affrontare la malattia anche fermandosi di fronte a montagne invalicabili, accettando l'impotenza della nostra professione traendo insegnamento dall'autoconsapevolezza dell'impotenza dei pazienti stessi.
La cosa più difficile è abbandonare la nostra morale per comprendere i sorrisi della povertà. Per comprendere la gioia nella sofferenza. Per comprendere la serenità nell'abbandono alla malattia e alla morte.
Contraddizioni che spezzano il cuore.
La cosa difficile è accettare la libertà di vivere secondo le proprie morali.
La cosa difficile è aiutare il prossimo senza calpestare i valori e i principi di una comunità.
La cosa impossibile è non portarsi a casa una parte di Africa, un pezzo dei suoi valori, una lacrima della sua sofferenza.
La cosa impossibile è rimanere immutati nello spirito e nella professione dopo aver riscoperto il dono che ci è stato dato proprio da questi stessi pazienti: farci diventare medici.
L'obiettivo ora è la formazione: con la Fondazione Italiana Medici per l'Africa Centrale (FIMAC), raccoglieremo fondi per realizzare una sala operatoria vera, per offrire più missioni nell'arco dell'anno, per lasciare un'assistenza sanitaria duratura e non solo legata ai nostri futuri viaggi"

(di Andrea Fidanza, Manuel Mazzoleni, Giulia Cenci, Achille Contini, Michele Grasso e Filippo Migliorini)