1943: Abruzzo al centro della storia

Patricelli racconta le 90 ore tra la fuga dei Savoia e la liberazione di Mussolini.

«Accadde tutto in poco più di novanta ore: dal tardo pomeriggio di mercoledì 8 al primo pomeriggio di domenica 12 settembre 1943. In un arco di tempo così breve viene spazzata un’Italia e se ne affacciano almeno due sul palcoscenico della storia».

Si apre così il nuovo volume di Marco Patricelli, «Settembre 1943 - I giorni della vergogna» (Laterza, 334 pagine, 22 euro), in libreria da giovedì 19. Quelle novanta ore fondamentali per la storia dell’Italia si svolsero tutte in Abruzzo: la fuga dei Savoia tra Crecchio, Pescara e Ortona e la liberazione di Mussolini, «detenuto» a Campo Imperatore sul Gran Sasso. Due eventi fondamentali nella storia di quei giorni convulsi dopo l’armistizio e prima dell’occupazione nazista.

Avvenimenti importanti anche per la storia successiva del Paese. Patricelli, giornalista del Tempo, studioso di storia, consulente del Tg1 Storia della Rai, docente di Storia dell’Europa contemporanea all’università D’Annunzio di Chieti Pescara, è autore di altri volumi importanti come «Liberate il duce. Gran Sasso 1943: la vera storia dell’Operazione Quercia» (Mondadori), «La Stalingrado d’Italia. Ortona 1943: una battaglia dimenticata» (Utet), «Le lance di cartone. Come la Polonia portò l’Europa alla guerra» (Utet), «I banditi della libertà. La straordinaria storia della Brigata Maiella, partigiani senza partito e soldati senza stellette» (Utet) e, ancora per Laterza «L’Italia sotto le bombe. Guerra aerea e vita civile 1940-1945). Patricelli ha parlato del suo nuovo lavoro con il Centro nell’intervista che segue.

Nel settembre 1943 la storia d’Europa passa per l’Abruzzo.
«Sì, il libro racchiude 90 ore della nostra storia e ci sono diversi centri della nostra regione: Campo Imperatore, Carsoli, Chieti, Crecchio, Ortona, Pescara. A Carsoli si pensa in un primo tempo di creare un comando generale dell’esercito che poi invece si realizza a Chieti. I Savoia, prima della fuga, vanno a Crecchio, da qui a Pescara. All’aeroporto di Pescara c’è un consiglio della corona dove si decide che i reali andranno a sud non via aereo ma via nave. Perché? Ufficialmente perché la regina non ama volare, in realtà perché l’Aeronautica è un’arma “fascista” mentre la Marina è più vicina alla famiglia reale. A Pescara, nella tarda serata del 9 settembre, sulla nave Baionetta si imbarca Badoglio e, durante la notte, a Ortona arrivano anche i reali».

Nel frattempo cosa succedeva a Campo Imperatore?
«Che gli ordini dati ai militari italiani che avevano in consegna Mussolini sono contraddittori. Gli ordini sono prima di sopprimerlo, poi allontanarlo. Badoglio doveva, sottolineo doveva, conoscere le clausole dell’armistizio e l’articolo 29 prevedeva che ci fosse la consegna di Mussolini agli alleati. Invece non fece assolutamente nulla. E secondo me lo fece per un motivo specifico: se avesse consegnato il duce agli alleati, questi lo avrebbero interrogato e Mussolini avrebbe sicuramente tirato in ballo anche lui».

Perché parla di giorni della vergogna?
«Perché la fuga da Roma verso Pescara e poi da Ortona è stato un atto di vigliaccheria. Si lasciò il Paese allo sbando mentre si sarebbe potuto tranquillamente battere i tedeschi. A Chieti, all’albergo Sole, fu installato il comando generale e lì fu deciso lo scioglimento del regio Esercito, il tutti a casa accade lì. Sia chiaro non è che sto scoprendo l’acqua calda. Ma questo Paese, che ambiva a essere un grande Paese, si scioglie in 90 ore. Non ci sono precedenti nella storia».

Come è potuto accadere?
«Perché non c’era più la catena di comando. L’8 settembre è tutta in quella battuta di Alberto Sordi, nel film “Tutti a casa” di Comencini, quando chiama il comando e dice: “Signor colonnello, accade una cosa incredibile, i tedeschi si sono alleati con gli americani!”. Eh, sì, perché molti militari davvero non sapevano cosa stava accadendo, cioè che gli ex alleati, i tedeschi, erano diventati nemici e viceversa. Ma la ferita dell’8 settembre è arrivata fino ai nostri giorni. Perché l’onta subita dal nostro esercito è durata per decenni».

Lei collabora con il Tg1 Storia che ogni mattina manda in onda 5 minuti dedicati ai fatti del passato, è poi autore di alcuni libri importanti sulla battaglia di Ortona, sulla Brigata Maiella, sui fatti della seconda guerra mondiale in Abruzzo. Perché c’è tutta questa attenzione sulla storia?
 
«Da un lato, forse, perché è stata insegnata male, quella recente intendo. Poi, perché più ci si allontana dai fatti, ormai siamo prossimi ai 70 anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, più c’è la freddezza necessaria per discuterne».

Perché in Abruzzo non è stato mai sottolineato il ruolo di questa regione durante l’ultima guerra?
«E’ un mistero. Se quello che è accaduto da noi fosse accaduto in qualsiasi altra regione sarebbe fioriti studi, libri, fiction televisive, film per il cinema, in cui si metteva in risalto il ruolo dell’Abruzzo in fatti storici fondamentali per il Paese. Dico solo che nella preghiera del soldato, in Polonia, si ricordano “i fratelli della Brigata Maiella”. Poi succede che l’ambasciatore polacco e l’associazione ex combattenti della Polonia mandano un messaggio quando muore Domenico Troilo e non vengono nemmeno letti al suo funerale».