Abruzzo, dimezzato il mercato dell'edilizia

Girolimetti (Ance): i piccoli costruttori abruzzesi devono associarsi

PESCARA. «In Abruzzo il mercato delle costruzioni è fermo e in un momento come questo è importante ripensare anche il nostro settore. La Libia potrebbe rappresentare opportunità e prospettive, però bisogna aspettare, continuando a tenere gli occhi aperti. Più in generale, l'estero potrebbe essere una soluzione, ma c'è necessità di un salto culturale degli imprenditori locali che consenta di presentarsi anche altrove una volta strutturati».

Giuseppe Girolimetti (nella foto), presidente regionale dell'Ance, l'Associazione nazionale costruttori edili, commentando le stime sulla Libia diffuse nei giorni scorsi da Unioncamere, coglie l'occasione per scattare una fotografia dell'imprenditoria edile abruzzese.

In un contesto di crisi generale, con l'economia abruzzese che stenta a ripartire, il presidente - a pochi giorni dalla presentazione del Documento di programmazione economica e finanziaria della Regione - è convinto che sia necessario lavorare anche all'interno del sistema stesso per dare slancio alla ripresa.

Ripresa che potrebbe sì partire dalla Libia, ma «non c'è fretta», secondo Girolimetti, di fronte alle previsioni di Unioncamere. In attesa della fase di progressiva stabilizzazione e democratizzazione del Paese, si parla infatti di investimenti che, a partire dal 2012, potrebbero ammontare ad almeno quattro miliardi di euro, ovvero l'80% in più rispetto a quest'anno.

Girolimetti, qual è la situazione del settore in Abruzzo?
«E' drammatica. Il mercato è fermo, se non in recessione. Quello delle opere pubbliche, oggi, è al 50% rispetto al 2005. Male anche il privato, mentre va leggermente meglio il terziario, anche se non da assorbire tutta la produzione. Una situazione critica, ulteriormente aggravata dal Patto di stabilità che porta anche i Comuni più virtuosi a non poter pagare, bloccando completamente gli appalti».

La situazione è analoga ovunque?
«La situazione è più o meno la stessa ovunque, fatta eccezione per l'Aquila, dove c'è tanto lavoro da fare».

Quindi non è vero che gli abruzzesi vengono tagliati fuori dalla ricostruzione?
«E' vero se ci si riferisce alla prima fase dei lavori, quella del Piano case, perché era un tipo di intervento che solo alcune imprese potevano svolgere. La seconda, quella delle case A e B per intenderci, però, ha coinvolto molti imprenditori locali, così come la terza fase, i cui lavori, salvo ulteriori problemi, dovrebbero partire a breve. C'è spazio per tutti».

Con una crisi così dura, la politica regionale sta facendo nulla per sostenere il settore?
«Nel giro di pochi mesi dovrebbero essere approvate alcune leggi, molto utili dal punto di vista dell'edilizia».

Quali?
«Per quanto riguarda l'edilizia privata c'è una legge sull'urbanistica ferma nel cassetto da più di dieci anni. Ora sembra che si voglia accorpare tale norma al riordino dell'edilizia, dando vita ad un testo unico che, secondo indiscrezioni, conterrebbe passaggi innovativi anche livello nazionale. C'è poi l'intenzione di rimettere mano al Piano casa 2, che non ha mai trovato applicazione, semplificandolo. Per il pubblico, invece, si parla di "housing sociale", con l'idea di mettere sul piatto fondi per l'edilizia popolare o convenzionata».

Ultimamente si parla spesso di internazionalizzazione. Considerando i dati di Unioncamere, la Libia può essere un'opportunità anche per l'Abruzzo?
«Le prospettive per il futuro potrebbero esserci, ma non subito. Bisogna prima vedere come si evolve la situazione. Insomma, stiamo lavorando, ma non so dire quando saremo pronti per andare lì, magari ad autunno 2012».

Quali sono i rischi?
«Dalle immagini è evidente la grossa distruzione e che, quindi, il lavoro da fare è tanto, ma è altrettanto evidente che ci sono bande armate e, prima di andare, è necessario disarmarle».

Per i costruttori abruzzesi sarebbe la prima volta in Libia?
«Già due anni fa, come Ance, siamo stati lì per verificare le possibilità offerte, che effettivamente erano parecchie. Per esempio c'è bisogno di opere pubbliche, le uniche esistenti sono quelle costruite dall'Italia».

Il problema è solo la sicurezza o è anche l'Abruzzo a non essere pronto?
«Il problema è del sistema italiano, perché le imprese non sono strutturate in modo da poter andare all'estero. Il 90% di esse è costituito da piccole realtà».

Quale potrebbe essere la soluzione?
«Mi auguro che i piccoli costruttori abruzzesi facciano un salto culturale, che vuol dire essere in grado di fare gruppo e di associarsi. Ognuno deve saper rinunciare ad un pezzettino del proprio giardino in favore di altri. Se ne guadagna nel lungo periodo, bisogna essere lungimiranti».

La politica come può contribuire?
«Deve dare tutto l'appoggio e il sostegno possibili. Con la Regione, ad esempio, stiamo valutando la possibilità di creare un Salone della ricostruzione sulla Libia, che si svolgerà a Tripoli, sulla base di quello promosso per L'Aquila. Sarà una grande occasione per presentarsi in maniera istituzionale».

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