«All’Aquila, con sentimento»

Renzo Arbore si racconta prima del concerto con l’Orchestra italiana.

Ibagni da bambino a Francavilla, la guerra e lo sfollamento prima a Lanciano e poi a Chieti, le estati da adolescente a Pescara, alla Pineta. L’Abruzzo ha il sapore dolce della giovinezza per Renzo Arbore.
L’artista foggiano-napoletano ha ricordi fortissimi legati alla regione e venerdì, alle 21, porterà all’Aquila (aeroporto di Preturo) la sua Orchestra italiana (si veda scheda in basso).
Martedì 11 sarà di nuovo in Abruzzo, a Vasto, per il concerto fissato alle 21,30 all’Aqualand.
Arbore ha rilasciato al Centro l’intervista che segue.

Maestro, lei si esibirà all’Aquila in uno scenario difficile, in una città violentata dal terremoto. Con quale spirito salirà sul palco?
«Lo spirito è quello di emozionare e anche, dopo, di rallegrare un popolo così profondamente colpito. Il mio compito è quello di dare due ore di sollievo, un po’ di consolazione: è un concetto meridionale che si usa anche in momenti non drammatici come questo. A Napoli si usa spesso: “A ieri ssera ci simme cunsulate”. Spero che all’indomani del nostro concerto lo possano dire anche gli aquilani».

Cosa può fare la musica in situazioni del genere?
«La musica fa dimenticare. Poi, secondo me, esprime solidarietà. Ma quando tutti cantano insieme il ritornello di “Reginella”, è un momento in cui ci si sente tutti di una stessa famiglia, tutti di una stessa etnia. Secondo me la musica dovrebbe avere questa funzione. Spesso, molti artisti fanno musica per cantare le loro canzoni, per vendere i loro dischi. Io credo che nei miei compiti c’è anche quello di cantare canzoni non mie, che sono nella memoria di tutti. Credo che le canzoni della memoria siano più importanti di quelle di successo».

Lei ha una sorta di diffusa cittadinanza onoraria in Abruzzo. A Pescara, alla Pineta in particolare, ha passato le estati dell’infanzia e dell’adolescenza, fors’anche i primi amori. A Chieti ha vissuto lo “sfollamento”. Ora va all’Aquila per questo concerto-consolazione. Ogni volta che arriva, però, è accolto da un entusiasmo eccezionale. Poi, qui in Abruzzo, ha un grande amico in ’Nduccio. Si sente un po’ a casa sua?
«Sì. Noi venivamo in villeggiatura da Foggia a Francavilla. E poi, ahimé, ho vissuto a Lanciano e Chieti, ahimé perché c’era la guerra che ci sorprese. Ho ricordi particolarissimi, la ricottina sulle foglie di fico, San Giustino... L’Aquila, per noi bambini, era una meta lontana, era un viaggio lontanissimo, era montagna, era la capitale. Noi stavamo al mare. Poi dopo la guerra cominciammo a frequentare Pescara, soprattutto la Pineta, Pescara Porta Nuova. A Porta Nuova c’erano i gelati, buonissimi. Tuttora ci torno sempre molto volentieri. Ho anche ricevuto il premio Flaiano. Ma per noi foggiani Pescara è propio una consorella, come un po’ tutto l’Abruzzo. Tanti miei amici di infanzia continuano ogni anno a venire in villeggiatura a Roseto, a Giulianova, a Pescara».

E ’Nduccio?
«Non mi è parso vero di poter prendere un artista abruzzese, amatissimo da voi, nella mia trasmissione (Meno siamo e meglio stiamo, ndr). ’Nduccio ha una vena veramente originale. Perché il vero cafone agricolo, come dice lui, è ’Nduccio e non altri. Ha un umorismo veramente curioso, perché è popolare e raffinato allo stesso tempo. Ha l’ironia, che è una grandissima qualità, e poi ha delle idee musicali veramente originali».

Lei è uno dei più autorevoli ambasciatori della musica italiana nel mondo. Pensa a qualche iniziativa per l’Abruzzo nelle sue future tournée?
«Sono appena tornato dal Canada e devo dire che ho portato i saluti agli abruzzesi del Nord America che sono tantissimi. Sono aperto a qualsiasi iniziativa, qualsiasi cosa mi si chieda la faccio molto volentieri. La gente d’Abruzzo è paziente, è forte, però ha bisogno di essere aiutata. Questa è una stagione durissima per chi ha subito il terremoto. Nelle tende credo che faccia un caldo micidiale. Questo penso sia uno dei periodi più duri per loro. Spero che al più presto la situazione si risolva».

Il programma della sua Orchestra italiana è un po’ cambiato recentemente.
«L’orchestra italiana non fa solo canzoni napoletane. E’ nata così, ma non fa solo repertorio partenopeo. Ribadisco, comunque, che si tratta della melodia migliore del mondo. La quantità di melodie inventate dai talenti napoletani non ha rivali. Però, accanto alle canzoni napoletane abbiamo anche aperto il nostro programma alle canzoni “nostrane” e a qualche esperimento di swing. Sul palco ci divertiamo molto. Io da ex spettatore e da critico, giornalista, ho sempre detto che una cosa sono i dischi e un’altra gli spettacoli. Alla gente che ti viene a vedere, che paga il biglietto, devi dare lo spettacolo, parlando, raccontando, spiegando. Ed è quello che facciamo noi, da tanto tempo».

Maestro, non si può non farle una domanda, ormai è diventata una gag come quelle che faceva nei suoi programmi: quand’è che torna in televisione?
(ride fragorosamente) «I nuovi dirigenti Rai sono molto carini con me, mi adulano. La mia Orchestra, ormai, è un’azienda con cento persone, tra tecnici e musicisti. C’è invece in tv un intrattenimento hard, duro, pepato, alla ricerca dell’audience. Io ho sempre fatto una televisione soft. Non c’è speranza? No, non è detto. Per adesso, però, a breve scadenza c’è il concerto all’Aquila, certamente intriso di sentimento. Perché questo lavoro si fa anche con il sentimento».