Assalto alle case per rabbia A Teramo via al processo

Quattro cittadini di Alba Adriatica imputati di devastazione e saccheggio dopo il delitto Fadani, la parte offesa in carcere sconta 10 anni per l’omicidio

TERAMO. Non è l’Italia delle banlieu. Non è l’insurrezione generalizzata del modello parigino, quella con le auto incendiate ogni notte dalla furia della rivolta metropolitana. No, quella che sfila in un’aula di tribunale è la terra dell’omicidio Fadani, quella dei sassi lanciati contro le case dei rom nelle notti in cui si piange la morte di un uomo ucciso da un pugno. Dopo1460 giorni da quel novembre 2009 e una condanna in Appello a dieci anni per omicidio preterintenziale, la scena ruota di 360 gradi, rovescia l’ordine delle cose e riavvolge il nastro. Perchè davanti ai giudici del tribunale di Teramo ieri è iniziato il processo a carico di quattro cittadini albensi accusati di devastazione e saccheggio.

Loro sono gli imputati, i rom sono parte civile: i tre condannati per aver ucciso l’imprenditore Emanuele Fadani sono in carcere in attesa che la Cassazione esamini il loro ricorso. Per Andrea Roncacè, Domenico Piccioni, Stefano Caravelli e Maria Letizia Esposito il dibattimento è appena iniziato: dopo l’apertura di ieri si tornerà in aula ad ottobre con l’audizione dei primi testi citati dalla procura. Per l’accusa sono tra coloro che nelle serate dell’11 e 12 novembre 2009 si presentarono davanti alle case dei rom lanciando sassi e rovesciando le loro macchine parcheggiate in strada, in una esplosione di rabbia che catapultò Alba Adriatica sulla ribalta della cronaca nazionale. Tutto a tre mesi di distanza dalla morte del giovane studente Antonio De Meo, ucciso a pugni da tre rom minorenni poi condannati. Ad Alba erano i giorni in cui Elvis Levakovic, il nomade accusato di aver sferrato il pugno mortale all’imprenditore e per questo condannato a dieci anni (con rito abbreviato) sia in primo sia in secondo grado, non era stato ancora arrestato. I carabinieri lo presero nel giorno dei funerali di Fadani: si era rifugiato in una casa alla periferia della cittadina vibratiana. Secondo la Corte d’Appello dell’Aquila fu lui a sferrare il pugno mortale, ma moralmente sono responsabili anche gli altri due rom che quella sera erano con lui: Sante Spinelli e Danilo Levakovic. Per questo i due, assolti in primo grado, sono stati condannati a dieci anni nel processo d’Appello. Per i giudici di secondo grado, inoltre, così come aveva ipotizzato la procura teramana che aveva fatto ricorso contro la sentenza iniziale, l’imprenditore venne colpito con un calcio anche quando era a terra.

Per i quattro albensi accusati di devastazione parlano i loro legali. Dice Lauro Tribuiani, difensore di Caravelli: «il mio assisto è del tutto estraneo alle gravi accuse che gli vengono contestate e siamo convinti che tutto sarà chiarito nel corso del dibattimento». Sulla stessa lunghezza d’onda l’altro difensore Gabriele Rapali. «E’ una esagerazione», dice, «aver contestato dei reati pesanti come devastazione e saccheggio. Ci auguriamo che tutto venga chiarito nel corso del processo».Un processo iniziato dopo un’imputazione coatta. Al termine delle indagini della polizia, infatti, la procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il gip l’aveva respinta disponendo l’imputazione per i quattro.

Ma non c’è solo il caso Alba. A Giulianova, il secondo Comune d'Abruzzo dopo Pescara dove risiede il maggior numero di cittadini rom, alcuni provvedimenti assunti dal sindaco Francesco Mastromauro hanno attirato le critiche di esponenti del Partito radicale, in primis del leader Marco Pannella. In occasione di uno sfratto da un alloggio popolare, eseguito dal Comune nei confronti di una famiglia rom condannata per spaccio, il primo cittadino è stato fortemente criticato dai radicali, che hanno presentato un'interrogazione parlamentare. Di recente, nel corso del convegno radicale tenutosi proprio a Giulianova, Mastromauro ha sancito una sorta di "pace" con Pannella, promettendo una consulta rom cittadina.

(ha collaborato

Sandro Petrongolo)

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