Berlusconi, l'Abruzzo e il Paese: vi spiego come cambierò Forza Italia

L'ex premier parla al Centro di "un movimento aperto, basato su una rete di comunità locali. Pescara è un buon laboratorio per l'unità dei moderati costruita dal basso".

PESCARA. Presidente Silvio Berlusconi, domani alcuni grandi comuni abruzzesi andranno al ballottaggio per l'elezione del sindaco. A Pescara le divisioni nel centrodestra hanno penalizzato al primo turno il candidato di Forza Italia Luigi Albore Mascia. È un problema non solo abruzzese. Come intende affrontarlo?

«Certamente le divisioni non fanno bene. Disorientano il nostro elettorato, e favoriscono l'astensionismo. E' molto positivo quindi che a Pescara il centrodestra al secondo turno si presenti unito, raccogliendo tutte le forze che si richiamano ai principi cristiani, liberali, riformisti. Pescara è un buon laboratorio sull'unità dei moderati, che deve essere costruita proprio partendo dal basso, dalle persone, dai valori condivisi dal popolo del centrodestra. La sfida quindi è apertissima. Gli elettori di Pescara possono scegliere fra il nostro buongoverno, che ha portato efficienza, trasparenza, cultura del fare, opere pubbliche, risultati concreti e ben visibili, e la solita sinistra delle tasse, degli annunci, della burocrazia. Mi rivolgo soprattutto a quei cittadini, sono il 30%, che al primo turno sono rimasti a casa. Il futuro della vostra città è il vostro futuro: scegliendo Luigi Albore Mascia non scegliete solo un buon sindaco, scegliete una città nella quale vivere meglio. Queste considerazioni valgono ovviamente anche per gli altri ballottaggi che si terranno domenica in Abruzzo, a cominciare da quello di Teramo, dove abbiamo eccellenti probabilità di vittoria».

Quanto è importante l'articolazione territoriale della nuova Forza Italia e in che modo la rafforzerete?
«Naturalmente è molto importante. Però noi la intendiamo in modo del tutto diverso rispetto ai vecchi partiti. Non vogliamo rifare un movimento basato sul potere delle tessere, su una burocrazia pesante e costosa, su un apparato di potere. Vogliamo creare modi nuovi attraverso i quali le persone possano partecipare attivamente alla vita pubblica».

In che modo?
«Stiamo creando una rete di comunità locali, che abbiamo chiamato clubs, sul modello americano: luoghi nei quali i cittadini, senza vincolo di tessera, e senza formalità burocratiche, possono riunirsi, per occuparsi di problemi concreti del loro territorio, per organizzare campagne di opinione, interventi nel sociale, approfondimenti culturali. A fianco di questo, naturalmente, vi saranno i responsabili locali di Forza Italia, una struttura nuova, che stiamo selezionando, e che avrà al più presto la necessaria legittimazione dal basso. Saranno i nostri militanti e i nostri elettori a scegliere liberamente chi guiderà Forza Italia nelle diverse realtà locali. In Abruzzo il nostro Presidente del Comitato Regionale, Nazario Pagano, che ringrazio per il suo entusiasmo e la sua dedizione, sta già svolgendo un ottimo lavoro di rinnovamento e di coinvolgimento delle risorse più vive della società abruzzese».

In che modo favorirete il rinnovamento, che lei auspica, della classe dirigente?
«Con un grande lavoro di apertura. Entrare in Forza Italia è già oggi facilissimo: basta inviare una richiesta alla nostra sede centrale, e l'adesione è automatica, salvo gravissime ragioni di carattere giudiziario. Questo per fare in modo che nessuno, in sede locale, possa escludere qualcun altro per tenersi in mano il nostro Movimento. Naturalmente io non voglio allontanare nessuno, e considero preziosa per il futuro l'esperienza di chi ha lavorato con me finora, a tutti i livelli. Ma la nostra scommessa oggi è quella di riuscire anche a coinvolgere forze nuove, energie fresche: se la politica non è capace di rinnovarsi, la gente la sente sempre più come qualcosa di estraneo. Si disaffeziona e si rifugia nell'astensione o nel voto di protesta. Noi vogliamo interpretare la voglia di cambiamento che c'è in moltissimi italiani. Per questo invitiamo tutti gli italiani che vogliono davvero cambiare il nostro Paese, in modo serio e credibile, a non stare più alla finestra a guardare ciò che altri decidono per loro ma a scendere in campo diventando, da spettatori, giocatori.

Che cosa pensa della lettera di Renzi ai sindaci sulle incompiute da sbloccare?
«E' l'ennesima trovata di questo Governo che ha riempito l'Italia di promesse. Già oggi non ci sono le coperture finanziarie per mantenerle, nonostante abbiano aumentato la pressione fiscale complessiva. E' la solita sinistra, anche se sfrutta il volto giovane e simpatico di Renzi, è sempre la sinistra della spesa pubblica e delle tasse. Se mai si faranno, saranno interventi spot, occasionali e discrezionali: quali opere saranno favorite? Quali comuni? Quali imprese costruttrici? Non è così che si fa ripartire il Paese».

E come allora?
«L'Italia ha bisogno di interventi radicali sul fronte del fisco, del lavoro, delle infrastrutture stesse. Della riduzione delle tasse sulle famiglie, sulle imprese, sul lavoro. Solo così potremo avere più consumi, più produzione, più occupazione. E' quella che chiamo l'equazione liberale per la crescita e per il benessere. Gli enti locali, a partire dai comuni, dovrebbero essere responsabilizzati in questa direzione, che non riguarda soltanto lo Stato centrale, e non invece tenuti tranquilli con queste piccole mance».

Crede che tra le riforme necessarie ci sia anche quella delle Regioni? E in che modo?
«Ne sono convinto. Le Regioni, nate per decentrare processi decisionali, per portare molte funzioni di governo più vicino ai cittadini, hanno fatto in molti casi l'esatto contrario. E' nato in Italia un nuovo “centralismo regionale”, fatto di una burocrazia farraginosa e inefficiente come e peggio di quella statale. I cittadini sono estranei alle decisioni prese all'Aquila come a quelle prese a Roma. Noi avevamo realizzato fin dal 2005 una grande riforma istituzionale nella quale, oltre ad anticipare molti dei cambiamenti di cui oggi tutti parlano, come, ad esempio, la riduzione del numero dei Parlamentari, affrontavamo in termini razionali il rapporto fra Stato e Regioni, attribuendo funzioni chiare e definite ad entrambi».

Gli elettori la bocciarono.
«Quella riforma fu cancellata con uno sciagurato referendum abrogativo voluto dalla sinistra solo perché era stato realizzato da noi. E' stata la politica di sempre della sinistra all'opposizione, quella del tanto peggio, tanto meglio. Noi invece quando ci trovammo all'opposizione consideravamo i contenuti delle proposte della sinistra e tutte le volte che abbiamo ritenuto che fossero positivi per l'Italia e per gli italiani, li abbiamo votati. Questo vuol dire essere un'opposizione responsabile. Il risultato della cancellazione di quella riforma è che abbiamo perso almeno dieci anni. Nel frattempo si sono moltiplicati i costi e gli abusi. La legislazione concorrente, cioè le molte materie nelle quali Stato e Regioni hanno entrambi competenze, è all'origine di continui conflitti, che rallentano ogni decisione. E il malcostume della politica riguarda sempre più spesso proprio le Regioni. Anche per questo motivo noi continuiamo la nostra battaglia per la democrazia e per la libertà, per un'Italia più onesta, più prospera e più giusta».

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