Carichieti, l'ex dg contrattacca: "La banca era sana"
Sbrolli incolpa i commissari: hanno svalutato troppo i crediti bloccando l’operatività
CHIETI. Il crac della Carichieti? Poteva essere evitato con un semplice aumento di capitale, senza ricorrere a un procedimento traumatico come la “risoluzione” della banca e la creazione di un nuovo istituto, con l’azzeramento del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate. E’ quanto sostiene l’ex direttore generale Roberto Sbrolli, nel ricorso presentato al Tribunale fallimentare di Chieti contro il liquidatore della vecchia Cassa di risparmio teatino, che ha chiesto la dichiarazione di bancarotta fraudolenta. L’atto è firmato, oltre che dall’ex numero uno operativo, da tre ex consiglieri, Giuseppe Martino, Ennio Melena e Giuseppe Di Marzio, tutti rappresentati dal legale Gianluigi Di Tizio.
Secondo la ricostruzione di Sbrolli, il management della Colonnetta ha sempre seguito le indicazioni della Banca d’Italia, che ha ripetutamente ispezionato la Carichieti prima di decretarne il commissariamento. Anzi: le misure prudenziali adottate sono state ripetutamente più accentuate, come quando nella semestrale relativa alla prima metà del 2014 furono effettuate rettifiche sui crediti per 61,2 milioni, contro i 59,2 richiesti dagli uomini dell’istituto centrale.
E allora perché la vecchia Carichieti è stata liquidata? Secondo Sbrolli e i tre ex consiglieri per due ragioni:
1) i commissari straordinari hanno svalutato in modo abnorme il portafoglio crediti della banca, trattando le posizioni “incagliate” (corrispondenti a difficoltà transitorie del debitore) come vere e proprie “sofferenze” (quindi prestiti ormai inesigibili) e falcidiando anche il valore dei crediti chirografari oltre ogni ragionevolezza. Tutto questo ha comportato una perdita artificiosa di almeno 28 milioni di euro, anche tenendo conto dei criteri di valutazione espressi recentemente dal governatore Ignazio Visco.
2) Gli stessi commissari, sempre secondo Sbrolli, avrebbero di fatto congelato o ridotto le attività più remunerative della banca, come il trading sui titoli di stato e l’erogazione di impieghi fruttiferi, due voci che avevano puntellato il conto economico durante la gestione pre-crisi.
Nonostante tutto questo, prosegue l’ex direttore nel suo dossier di 14 pagine, i commissari straordinari all’atto della risoluzione avrebbero certificato che il patrimonio netto non era affatto negativo, ma positivo per 68 milioni, una cifra che avrebbe consentito con un aumento di capitale di ricostituire gli indici di solvibilità richiesti dalla Banca d’Italia, a partire dal cosiddetto “Core tier 1”. Tanto più che, aggiunge Sbrolli, a suo tempoil commissariamento fu disposto non per deficit patrimoniale, ma per «asserite gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative». In pratica era stata messa sotto accusa l’intera governance, a partire dalla famosa vicenda dell’ex autista liquidato e poi riassunto, in grado (secondo Bankitalia) di influenzare il vertice della banca al punto di essere considerato un amministratore di fatto.
E’ chiaro l’interesse di Sbrolli, Martino, Melena e Di Marzio, così come del resto del vecchio consiglio, di evitare la bancarotta che aprirebbe inquietanti sviluppi penali, oltre ai risarcimenti e alle sanzioni civili e bancarie che già sono in itinere. Sbrolli uscì da Carichieti nel novembre 2014, allontanato dall’allora commissario Riccardo Sora. Il licenziamento è stato impugnato, ma in primo grado l’ex dg ha perso ed è ora ricorso in appello. (cr.re.)
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