Chiudono le fabbriche volute da Gaspari in Abruzzo

Nella “terra d’oro” della Val Sinello dopo la Golden Lady si è fermato anche il Pantalonificio. E la riconversione non si vede

INVIATO A GISSI. Alle 10,28 il risto-fast delicious Madù batte lo scontrino fiscale 37 per due caffè: alla stessa ora, ma di dieci anni fa - anche se con un’altra gestione - quella ricevuta avrebbe avuto un numero progressivo quattro volte superiore. «Sì», confermano al Madù, «una volta qui c’era un movimento con la emme maiuscola: nella pausa pranzo trovare un tavolo a tutte le operaie del Pantalonificio era un problema: viste le tante richieste, bisognava prenotare. Adesso, invece, chi arriva a mezzogiorno può scegliere dove sedersi».

Il settore tessile che in Val Sinello non c’è più crea anche di questi crolli nell’indotto. Tant’è che il Madù si è rimesso in discussione tramutandosi in pub così da accogliere pendolari e giovani, quei pochi rimasti nel circondario. Là di fronte, l’ingresso della Golden Lady ha un’inferriata usata nei cantieri edili e che ostruisce il passaggio. Un’auto si ferma davanti alla palazzina con i vetri specchiati: c’è rimasto lo store che vende calze, slip e costumi. Il paradosso è che si tratta di quegli stessi indumenti che prima venivano realizzati nell’opificio di fianco con i suoi 80mila metri quadrati coperti, e che adesso arrivano dalla Serbia, dove il colosso dell’intimo ha deciso di trasferire la produzione che “una volta” - era in vita il pluriministro Remo Gaspari, sindaco di Gissi dal 1976 al 1994 - realizzava proprio qui, quando questa multinazionale è arrivata a dare occupazione a 600 lavoratori e in prevalenza donne.

La crisi di “ieri”. «La Golden Lady chiuse per pure scelte di profitto», spiega Giuseppe Rucci, segretario provinciale Filctem-Cgil. All’epoca della vertenza si profilarono due oissibili azioni: occupare lo stabilimento, come voleva la Cgil, o puntare alla riconversione, come auspicavano altri sindacati. In assemblea la stragrande maggioranza dei lavoratori optò per la seconda strada. All’azienda si chiesero 10mila euro per ogni dipendente riassunto da una nuova ditta e la cesssione gratuita di una parte dello stabilimento non utilizzata. La società Wollo di Torino si occupò della riconversione. Nel frattempo circa 400 lavoratori andarono in cassa integrazione. Poi la convocazione al ministero dello Sviluppo economico perché due aziende interessate a subentrare: la Silda Invest spa, calzaturiero del gruppo marchigiano Gatto, e la toscana New Trade, lavorazione di abiti usati. «Lo stesso Mise», ricorda Rucci, «ci disse che erano ditte affidabili e serie: possiamo procedere!». Golden Lady concesse quei soldi per ogni lavoratore riassunto da Silda Invest mentre per la New Trade si impegnò a dare gratis parte dell’opificio per 5 anni. Una parte dei lavoratori scelse di prendere i quattrini per andare in mobilità. La Silda Invest comincia a lavorare con la formazione on the job, poi interrotta. «Ma l’aziende si mostra subito inaffidabile», sottolinea Rucci, «mentre la New Trade non prende tutti i dipendenti previsti. Poi scopriamo che entrambe avevano percorsi non chiari con la giustizia. E la domanda, ovvia, fu: ma che cosa ha combinato il Mise? È questo l’epilogo? Le due ditte, in breve tempo, fallirono con i lavoratori usciti dalla mobilità e senza più sostegni. Abbiamo fatto anche un esposto alla Procura di Vasto per accertare eventuali responsabilità ma non abbiamo mai avuto risposte. A oggi attendiamo ancora la riconversione promessa».

La crisi di “oggi”. Non bastava la Golden Lady. Ci si è messo anche il Pantalonificio d’Abruzzo, del gruppo Canali, che qui ha due stabilimenti: uno per le giacche - 190 dipendent - l’altro per pantaloni - 96 operai -. Entrambi rappresentano un’eccellenza dell’alta moda. Fanno tutto made in Italy, «anche le bustine dei bottoni di riserva», sottolinea Rucci. Ma proprio in questa valle ormai di lacrime, da 4-5 anni c’è un problema sul venduto “soltanto” dei pantaloni. Dopo tre anni di contratti di solidarietà, lo scorso gennaio arriva il colpo di grazia come conseguenza della riforma sugli ammortizzatori sociali: il sussidio non viene rinnovato. E il 9 maggio, senza attendere l’incontro al ministero, l’azienda apre la procedura di mobilità per il Pantalonificio. «Abbiamo chiesto al gruppo Canali soluzioni alternative», aggiunge Rucci, «ma finora niente. Il guaio è che la Val Sinello è dichiarata area di crisi ma nessuno ha mosso un solo dito. Una volta Confindustria si faceva parte attiva per far restare gli imprenditori in un luogo: ora non muove foglia. E poi: come potrà il Masterplan aiutare qui incidendo sulla soluzione delle vertenze aperte? Servirà a ricreare occupazione?».

Quel viavai in municipio. «La situazione è drammatica», rilancia il sindaco Agostino Chieffo, «e ogni giorno in municipio è un viavai di famiglie che chiedono aiuto. Come Comune possiamo fare poco con i fondi nostri, ma siamo intervenuti nel sociale, tagliando, ad esempio, le rette delle mense scolastiche per chi non se le può permettere, o con borse lavoro a rotazione. E pensare che fino a 20 anni da tutto l’Abruzzo venivano a Gissi in cerca di occupazione».

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