Dazi, allarme sul caffè al bar: «Costerà almeno 1,50 euro»

19 Luglio 2025

Parla Nicola Di Nisio, ceo della Caffè Mokambo, azienda abruzzese del settore. Sulle tariffe: «Fanno paura, ma voglio essere ottimista: spesso Trump bluffa»

PESCARA. «I dazi sono solo l’ultimo dei colpi che ha subìto la nostra filiera in questi anni. Se mi chiede una previsione, il costo del caffè al bar arriverà minimo a un euro e cinquanta». Nicola Di Nisio è il presidente del cda di Caffè Mokambo, azienda teatina a conduzione familiare che, partendo da Chieti, si è ritagliata un ruolo importante nel panorama nazionale della filiera del caffè. Oggi esporta in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania e… Stati Uniti. Anche la Mokambo, quindi, rischia di essere penalizzata dai dazi al 30% del tycoon che dovrebbero scattare dal primo agosto, a meno che l’Unione europea non trovi un accordo. Se le tariffe entrassero in vigore sarebbero una «mazzata» per l’export italiano ed europeo, ma Di Nisio preferisce restare ottimista, perché Trump «sembra uno che minaccia più di quanto poi morde».

Di Nisio, quando uno pensa all’Abruzzo il caffè non è la prima cosa che viene in mente. Mokambo, però, è nata qui: qual è la sua storia?

«Mio padre e suo fratello sono stati coraggiosi a lanciarsi in questo settore. Tutto nasce dalla “esperienza” che mio papà ha avuto in questo mondo».

Cioè?

«Ha fatto il barista (ride, ndr) e ha capito che poteva essere un mercato profittevole. Allora ha deciso di buttarcisi a capofitto e, alla fine, direi che ha avuto ragione. Ci siamo mossi a piccoli passi, ma oggi abbiamo più di cinquanta dipendenti e non intendiamo fermarci».

Qual è l’origine del vostro caffè?

«Una buona parte proviene da Paesi dell’America Latina, come Brasile e Costa Rica. Poi abbiamo importiamo da alcuni Paesi africani e asiatici, tra cui Indonesia, India e in parte Vietnam».

Il Brasile è uno degli Stati che hanno ricevuto la “letterina” di Trump per i dazi. Ci saranno ripercussioni sul costo del caffè?

«È inevitabile, perché generano un effetto a catena. Se aumenta il prezzo lì, aumenta anche per noi che lo importiamo».

Più in generale, questi dazi fanno paura?

«Certo che fanno paura: tariffe doganali al 30% significa un’impennata dei prezzi e una forte contrazione di mercato. Ma il problema vero è che i dazi sono solo l’ultimo di una serie di problemi che si sono accumulati negli ultimi anni in questo settore. Da dopo il Covid è cambiato tutto».

Come?

«Faccio parlare i numeri. A fine 2019 una tonnellata di caffè del tipo “robusta” costava 1300 dollari. Oggi, per lo stesso quantitativo se ne pagano 5500! Ben quattro volte di più…».

Incredibile. Le cause?

«Le parlo da azienda che produce caffè in grano, macinato, e tutto ciò che è relativo al caffè. L’aumento del costo dell’energia e del gas ha fatto male all’intero settore “horeca” (hotel, ristoranti e caffetterie, ndr). A fronte di queste difficoltà, si capisce perché i prezzi sono saliti».

Oggi un caffè al bar costa in media 1,20 euro. Con i dazi può salire ancora?

«Secondo me il prezzo minimo sarà di 1,50. Consideri anche che dal 2023-2024 si è avuta un’impennata delle quotazioni del caffè in borsa che noi, come aziende, non riusciamo a gestire, perché è difficile allineare i nostri prezzi a questi valori. Nel nostro caso specifico, poi, anche le guerre ci hanno fatto male, perché hanno modificato le traiettorie del nostro export».

Come?

«Oggi esportiamo in numerosi Paesi, dall’Australia all’Inghilterra. Prima eravamo presenti anche in Israele, Ucraina e Russia. Lei capisce che l’attuale situazione internazionale abbia reso tutto più complicato…».

Sono mercati floridi?

«Avevamo un buon livello di export con Israele, ma ora è difficile. I mercati russo e ucraino, poi, covano un grande potenziale. Anche se non sono maturi come quello americano, hanno un grande bacino di consumatori e sentono molto l’appeal del prodotto italiano».

Ha fatto cenno al mercato statunitense. Esportate anche lì?

«Certo. Pensi che nel 2019 rappresentava quasi un terzo del nostro export. Ora ci sono i dazi e ci sarebbe da farsi “il segno della croce”, ma voglio rimanere ottimista».

Cosa la fa ben sperare?

«La mia impressione è che Trump sia un tipo che minaccia molto di più di quanto alla fine “morda”. O almeno spero che sia così. Devo essere speranzoso, perché se li mette sono guai seri».

Come azienda vi state preparando in qualche modo?

«Al momento stiamo aspettando di capire quali saranno i prossimi sviluppi».

Secondo lei, l’Europa si sta muovendo bene nelle trattative?

«Direi di sì. Bisogna trovare un compromesso, perché i dazi al 30% avrebbero effetti devastanti su tutta la filiera, da noi produttori alle aziende di trasporto, che dovranno far fronte a forti contrazioni del mercato. Ecco, c’è una cosa tra quelle che ho sentito che non mi convince».

Cioè?

«Che la Commissione europea sta preparando dei controdazi come risposta a Trump. Questo è sbagliato. Una guerra commerciale fa male a tutti e bene a nessuno».

C’è una soglia dei dazi che lei ritiene accettabile?

«Difficile rispondere. Ho clienti negli Stati Uniti che mi dicono che si stanno mettendo le mani nei capelli. Il fatto è questo: se una persona vuole bere un caffè buono, compra il nostro. Se vuole mangiare della pasta buona, compra la nostra. Siamo eccellenze riconosciute nel mondo. Serve, però, che questi prodotti abbiano un prezzo alla portata dei clienti, altrimenti non si vende più. Con le tariffe al 30% l’export europeo riceverebbe una mazzata».

C’è o non c’è una soglia entro la quale si può resistere ai dazi?

«Non ho la sfera di cristallo, ma probabilmente entro la soglia del 10% siamo in grado di resistere... Una flessione, però, rimane inevitabile».

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