"Di Luca squalificato per tre anni"

Pesante richiesta della Procura antidoping, Danilo rischia di chiudere la carriera. L’abruzzese "Me lo aspettavo ma sono convinto di poter dimostrare la mia innocenza nelle sedi competenti"

PESCARA. Tre anni di squalifica. Una mazzata che chiuderebbe definitivamente la carriera di un ciclista che di anni sta per compierne 34, essendo nato il 3 gennaio 1976. E’ la richiesta della procura antidoping nei confonti di Danilo Di Luca, il campione di Spoltore che dal maggio scorso si trova invischiato in una vicenda che per lui sta diventando sempre più difficile. Il ciclista abruzzese è accusato di aver fatto uso di Cera ricombinante, la nuova versione dell’Epo.

Tracce di Cera vennero trovate nell’organismo di Di Luca durante i controlli ai quali venne sottoposto nel corso dell’ultimo Giro d’Italia, controlli effettuati nelle tappe del 20 e del 28 maggio. Il 22 luglio vieene ufficializzata la positività e scatta la sospensione da parte dell’Uci; l’8 agosto vengono resi noti i risultati delle controanalisi nel laboratorio francese di Châtenay-Malabry (peraltro sempre contestati dall’atleta abruzzese), che confermano la presenza di Cera. E intanto viene avviato il procedimento della procura antidoping, presieduta da Ettore Torri.

Che ieri ha disposto il deferimento di Di Luca al tribunale nazionale antidoping chiedendo 3 anni di squalifica a partire dal 22 luglio 2009, l’invalidazione dei suoi risultati sportivi a partire dalla stessa data e il pagamento di un’ammenda, il cui ammontare deve essre ancora definito.

La richiesta della procura è un atto di parte, per cui bisognerà attendere la decisione del tribunale nazionale antidoping che, almeno in teoria, potrebbe anche rigettarla. Vi è poi un’ulteriore istanza, cioè il Tas (tribunale arbitrale dello sport) di Losanna: il caso di Luca, qundi, è ancora lungi dall’essere concluso, ma il passo compiuto dal procuratore - che avrebbe potuto anche chiedere l’archiviazione del procedimento se non fosse stato pienamente convinto della sua responsabilità - non è certo un bel segnale per il ciclista abruzzese, e anzi lascia presagire un esito sfavorevole.

La vicenda comincia nel Giro d’Italia che Di Luca ha conteso fino all’ultimo al vincitore, il russo Denis Menchov, un atleta sul quale - tanto per restare in tema - grava più di un sospetto, visto che non ha mai spiegato cosa diavolo ci andasse a fare in una clinica di Vienna dove si  pratica l’autotrasfusione.

Quando il caso doping è venuto alla luce, Danilo Di Luca si è sempre detto sicuro di poter dimostrare la propria innocenza, aggiungendo che se le contronalisi avessero confermato la presenza di Epo si sarebbe ritirato dall’attività sportiva.

Poi però ha cambiato idea, contestando la validità e la stessa attendibilità delle analisi effettuate nel laboratorio francese, dove in precedenti occasioni era risultata una falsa positività in campioni di sangue di altri atleti.

Ma oltre a questa contestazione, l’autodifesa di Di Luca si basava (e si basa tuttora), su una considerazione semplice, ma (almeno in apparenza) molto logica: «Sarei proprio un uomo senza cervello», disse alla fine di agosto in un’intervista, «ad usare Cera, che resta nel sangue e nelle urine per un mese, proprio nel corso del Giro d’Italia».

Di Luca adombrò anche l’ipotesi di un complotto ai suoi danni, ma intanto l’esito delle controanalisi provocò subito degli effetti molto pesanti sulla sua attività sportiva: il ct dell’Italbici Franco Ballerini lo escluse dal grupo degli azzurri per i mondiali di Mendrisio, e venne licenziato dalla sua nuova squadra, la Lpr-Farnese Vini con cui si era accordato solo pochi giorni prima.

Di Luca ha affidato a una breve nota il suo commento sulla richiesta di squalifica: «Prendo atto del deferimento richiesto dalla procura antidoping, che aspettavo e che è stato formulato nei termini previsti. Sono sereno e resto fiducioso di riuscire a dimostrare nelle sedi competenti quanto da me sostenuto finora». Cioè che le controanalisi del laboratori di Châtenay-Malabry sono inattendibili.