E il «padrone» fa gestacci ai lavoratori

Esce dalla casa di cura e sbeffeggia la protesta di Cisl, Cgil e Ugl.

CHIETI. Esce dalla casa di cura che gli è stata sequestrata da appena 24 ore: spavaldo, ma con una risata forzata. Le braccia alzate, a mo’ di trionfo di pugile vittorioso. Poi separa le mani e sempre rivolto verso i lavoratori in sciopero di Cisl, Cgil e Ugl, che protestano davanti alla clinica, perché senza stipendio da sette mesi, fa due «V», in un nervoso movimento di piegamento e distensione delle braccia. Vincenzo Angelini non ha più lo sguardo preoccupato del giorno prima, quando la guardia di finanza di Pescara gli ha sequestrato le mura della clinica, auto e appartamenti, beni per 33 milioni di euro. Ha ritrovato la sua verve di fronte a quella gente che protesta per un lavoro, un salario, la dignità.

Sale velocemente in macchina, guidata dal fido autista, mentre uno dei lavoratori, raccolta la provocazione, tra fischietti e bandiere, gli augura qualche accidente. Angelini non si dà per vinto, regge il «gioco», prima mostra il medio eppoi con un movimento ancora più vistoso, mette la mano sinistra tra braccio e avanbraccio destro nell’eloquente e noto gesto dell’ombrello. Tutta la scena viene ripresa da una telecamera della Digos. I lavoratori quasi ridono. Il “re” delle cliniche qualche ora prima di entrare nella casa di cura si era lasciato andare ad altri atteggiamenti di sfida verso i lavoratori. Indirizzati soprattutto agli iscritti della Cgil, quelli che lui vuole annoverare tra i protagonisti di un presunto complotto ai suoi danni. La scenetta viene osservata persino da alcuni malati. Quelli che si concedono una sigaretta prima di pranzo, nonostante il freddo pungente. «Ma tanto a lui non gliene frega niente», commenta qualcuno.

La scena è eloquente: da una parte l’imprenditore travolto dalle vicende giudiziarie, il grande accusatore che ha mandato in galera mezza ex giunta regionale, oggi accusato a sua volta, e la politica incapace di mettere la parola fine alla vicenda di una sanità privata che dura da decenni e dall’altra i lavoratori disperati, senza un soldo, ai limiti della sopportazione e i malati quelli che hanno bisogno, intorno ai quali si tesse la drammatica tela. «Devo stare qui per tre mesi» dice Wanda, una donna di 56 anni, con il problema dell’obesità. Il suo calvario, quello della bulimia, è cominciato quando un figlio di 30 si è suicidato. «Sono dimagrita di 10 chili e qui mi sanno curare molto bene. Peccato che da una settimana non possiamo fare più piscina e attività fisica. Le palestre sono chiuse».

«Anch’io sono dimagrito di 10 chili» dice Gino, 38 anni di Foggia, che faceva l’imbianchino, «mi hanno portato qui con la bombola di ossigeno, ora cammino», aggiunge e rivolge uno sguardo ai lavoratori che gridano slogan di protesta. «Anche noi vogliamo l’Audi», urla una lavoratrice all’indirizzo dell’autista di Angelini di guardia alla macchina tedesca. «Ma quella non gliel’hanno sequestrata?».
I malati del centro del disturbo della alimentazione sono gli unici che stanno fuori e assistono al sit-in di protesta. Quello che si dice un momento di svago. La hall della clinica è deserta, ci sono solo alcuni lavoratori che hanno cercato riparo dal freddo. Qualche giorno fa i ricoverati raccogliendo una settantina di firme tra i vari reparti hanno scritto una lettera al nostro giornale nella quale, nel sottolineare la professionalità e la umanità di medici e infermieri, esprimo preoccupazione semmai la casa di cura dovesse chiudere e solidarietà verso tutti i lavoratori.

«Vengo da Gela e la Asl di Caltanisetta mi ha indirizzato qui perché fino a Chieti non esiste un centro del genere», dice la giovane Antonella, una cameriera anche lei con problemi di obesità. Ha perso diversi chili e vede davanti a sé un futuro migliore. La permanenza nella casa di cura per coloro che hanno disturbi dell’alimentazione varia da due mesi a tre mesi. Vengono seguiti da psicologi, fisioterapisti e nutrizionisti, pool guidato dal dottor Ezio Di Flaviano, uno dei maggiori esperti a livello nazionale nella materia. Sono trenta nel reparto, dove sono ricoverate anche quattro anoressiche giovanissime e tre con lo stesso problema in day hospital. «Io vengo da Teramo, lavoravo all’Alfa Gomme», dice ricordando un’altra drammatica vertenza di lavoro di una fabbrica dimezzata, «anch’io sto risolvendo i miei problemi da quando sono qui». Incomincia a piovere. I lavoratori smontano le loro bandiere. I malati vanno a pranzo.