Il giudice Billi già scrive le motivazioni

La giornata del magistrato tra le bordate della comunità scientifica e la solidarietà dei colleghi: parlerò con le carte
L’AQUILA. L’impresa eccezionale è essere normale. Non porta i tappi alle orecchie né gli occhiali scuri, legge i giornali come tutti e quindi sa molto bene di essere al centro di un dibattito internazionale che spazia tra chi gli dà del «matto» e chi del «Torquemada». C’è persino chi ironizza sulla sua passione sportiva per il Triathlon. Ma quando gli si chiede se si senta o meno il giudice più importante d’Italia allora no, il 43enne giudice unico Marco Billi ( o «unico giudice», come lo ha già ribattezzato qualcuno) sgrana gli occhi e aggrotta le ciglia. Apre e chiude il codice penale verde e torna nel suo ufficio, dove ha già cominciato a scrivere le motivazioni della sentenza di condanna dei sette «scienziati» della commissione Grandi Rischi.
Corre, il giudice Billi, e non solo in senso sportivo. C’è da credere, allora, che non si prenderà tutti i 90 giorni annunciati e previsti per spiegare perché e per come i sette andavano, e quindi sono stati, condannati. Lui che ha garantito un’udienza a settimana vorrebbe arrivare a Natale col prezioso documento già bello che pronto. Così da arricchire il già fecondo dibattito in corso sulla sua sentenza.
Non va in giro con la scorta e non modifica le sue abitudini. Pranza col solito panino al bar vicino al tribunale il magistrato che in tanti vorrebbero, questi sì, mettere al rogo. Niente telecamere, oggi. Non gli toccherà mandare a dire all’aula gremita in ogni ordine di posto che quando entrerà, alle 17 spaccate, per leggere il dispositivo preferirebbe trovare già tutti seduti, grazie. Non dovrà dire, oggi: «Sono presenti tutti i difensori?», prima di pronunciare la Sentenza. Tutte sentenze con la s piccola, oggi. E tra tanti «mi riservo», «mi riservo», a un certo punto ci scappa pure un «mi ritiro». Ma niente paura. Stavolta è solo «per deliberare», come diceva Santi Licheri alla tv. Oggi l’attesa, davanti a questa porta bianca scorrevole che mai viene lasciata socchiusa, magari è per quella casetta di legno comprata dopo il terremoto e trovata difettosa. Avvocati e imputati non sono volti noti della tv. Ma il giudice del processo Grandi Rischi è lo stesso di sempre. Già prima delle 9 è al suo posto negli uffici provvisori del palazzo di giustizia. Un’occhiata ai giornali e poi subito sui fascicoli. Tre ore di udienza senza neppure il tempo di un caffè o di una boccata d’aria, ché oggi è ottobre ma sembra maggio. Parentesi. Negli uffici giudiziari, forse per le intemperanze del climatizzatore, oggi le bocchette gettano fuori aria calda. Tanto che qualcuno è già pronto a invocare l’intervento del ministro dell’Ambiente.
Nell’aula del gup Billi, intanto, gli echi del processone arrivano sfumati. Il clima è tranquillo. Sia la Procura sia i magistrati giudicanti scelgono la linea del basso profilo. «Parliamo con gli atti», ribadisce il procuratore facente funzioni Stefano Gallo che s’affaccia in aula. Assicura che farà parlare le carte, e che le carte parleranno molto presto, anche il giudice Billi – unica trasgressione la cravatta gialla con farfalle blu sotto il vestito grigio – finalmente fuori dall’aula alle 12,45. «No comment». Il magistrato suo malgrado più famoso d’Italia rimanda i commenti al tempo stabilito.
«Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare», si dice in un’altra telefonata tra Bertolaso e uno dei suddetti «scienziati». Per fortuna non erano soli. C’è anche qualcun altro che ha fatto quello che doveva fare.
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