Il ritorno in negozio dei “segna sul conto”

La spesa a debito come 20 anni fa con la ricomparsa del libro nero. Ma se non si paga in 30 giorni il commerciante ci rimette

L’AQUILA. La spesa al negozio alimentari di 20-25 anni fa si faceva andando con la lista dei prodotti da comprare (caffè, pane, orzo, mozzarelle e merendine) scritta su un foglio, e la formula “magica” che permetteva di portare a casa quello che serviva per la cena e per la merenda scolastica: “Per favore, mi ‘segni’ il conto? Poi passa mamma e paga”. E il commerciante, un po’ mugugnando, prendeva da sotto il bancone un quaderno pieno di nomi scritti a penna, con accanto cifre, cancellature e nuove aggiunte. Era il “libro nero” dei debiti dei clienti. Un fenomeno che sembrava finito con l’avvento della grossa distribuzione, dei discount e delle finanziarie, e che in realtà non si è mai interrotto.

A spiegarlo è Domenico D’Orazio , 63 anni, titolare della bottega Minimarket di Sassa (frazione dell’Aquila), che gestisce da 40 anni insieme alla moglie Maria Pia Danieli. A sorpresa D’Orazio prende dalla cassa un quaderno identico a quello del bottegaio di 20 anni prima. Le famiglie che vanno a “segnare” ci sono sempre state, dice. «Ora, però, notiamo un aumento delle persone che ci chiedono di concedere un credito».

E’ un’altra triste faccia della crisi economica, che sta modificando di nuovo le abitudini delle famiglie. Al centro commerciale non si può certo chiedere un credito. Ora le famiglie tornano ai negozi di vicinato, dove è facile instaurare un rapporto di fiducia e un dialogo diretto con il commerciante.

L’IDENTIKIT. Ma chi sono le persone che chiedono di “segnare”? «Sono per lo più pensionati», spiega D’Orazio, «che alla seconda metà del mese hanno già esaurito la pensione». E i piccoli commercianti devono correre ai ripari. «Alla seconda metà del mese le vendite calano molto», prosegue il titolare del minimarket, «e siamo costretti a ordinare meno merce, soprattutto quella fresca: mozzarelle, insaccati, frutta».

I DESAPARESIDOS. Per fare un ordine pieno ai fornitori se ne riparla all’inizio del mese successivo. Oltre a chi ha la reale necessità di aspettare la nuova pensione o l’accredito dello stipendio (o della cassa integrazione) «ci sono, anche persone che ci marciano», spiega D’Orazio, mentre mostra un foglietto volante in cui ha sommato l’importo che una famiglia dovrà pagare a fine mese: 300 euro tonde tonde. Poi, ci sono coloro che spariscono nel nulla, lasciando il debito sulle spalle dell’attività. «Quelli li iscriviamo nel quaderno dei “desaparesidos”», dice ridendo D’Orazio, che già è pronto a trasferire 15 nominativi dal libro nero classico a quello che “comincia con la lettere D”. Un danno economico non indifferente per una bottega di vicinato che basa i suoi affari sui piccoli acquisti e che, in questo modo, si ritrova a fine anno diverse migliaia di euro che peseranno sul fatturato del negozio.

Un fenomeno che riguarda non soltanto i minimarket, ma anche i piccoli negozi di abbigliamento, i tabaccai, i bar.

IL RISCHIO FRODE. C’è un altro aspetto “preoccupante” da considerare nel fenomeno dei libri neri: quello della frode fiscale. Il rischio, infatti, per i commercianti che concedono questo tipo di credito è di rendersi complici di una frode allo Stato. «Per non incappare in questo “inganno”, il commerciante deve comunque emettere lo scontrino sul quale vanno pagate Iva e tasse», spiega il presidente della Confesercenti dell’Aquila, Filippo Ciancone. «È importante che il commerciante, anche se vuole concedere ai clienti di pagare la spesa qualche giorno più tardi», prosegue, «faccia lo scontrino, che deve essere conservato da chi acquista».

Difficile verificare che questo avvenga davvero. E il rischio è che diventino entrambi – clienti e commercianti - complici di “un’evasione fiscale forzata”.

I negozianti hanno per legge l’obbligo di pagare i prodotti alimentari entro 30 giorni dalla fornitura. Ma se il commerciante non viene pagato, a sua volta va in affanno per saldare il suo conto con i fornitori. E così, mese dopo mese, s’instaura un meccanismo vizioso che aumenta la difficoltà dei titolari a far fronte alle loro scadenze. «Il commerciante, concedendo questo “favore” ai clienti”», spiega Ciancone, «fa un servizio sociale. Ma lo fa anche per mantenere una nicchia di clientela che sarebbe altrimenti fuori dal suo mercato».

Ma la situazione può diventare esplosiva quando il fornitore bussa per chiedere i suoi soldi: «Se l’esercente ha un numero considerevole di persone che segnano e magari non pagano lui deve anticipare i soldi con costi aggiuntivi sulla fornitura. Anche perché a essere in difficoltà è un esercito di persone monoreddito che aspettano la fine del mese per pagare, oppure cassintegrati ai quali l’assegno dell’ammortizzatore sociale arriva dopo 40-60 giorni. E intanto il commerciante non può pagare Iva e tasse».

I negozi di vicinato sono diventati, dunque, un faro, un’àncora di salvezza per pensionati e famiglie monoreddito che possono fare la spesa in modo cadenzato e misurato. Che cosa fare, allora? «Si devono creare più posti di lavoro, e poi l’Abruzzo deve mettersi in rete», conclude Ciancone, «altrimenti soccomberemo a mercati vicini come l’Albania, che sta incentivando la nascita di profli tecnici sul settore del turismo che spiazzeranno il nostro mercato».

Marianna Gianforte

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