«Istituzioni deboli, legalità a rischio»

30 Novembre 2009

Di Nicola: l’Abruzzo stia attento ai pericoli di infiltrazione mafiosa.

PESCARA. Enrico Di Nicola nella sua lunga carriera è stato procuratore capo a Pescara e a Bologna. Ha dunque l’esperienza necessaria per riflettere su una delle stagioni più difficili della regione dove la questione della legalità è diventata materia caldissima. Oggi siamo ancora dentro lo scandalo della sanità, nel frattempo si è aperto il fronte del terremoto. E c’è chi parla già di rischio tangenpoli, oltre che dei rischi legati all’infiltrazione mafiosa.
«Inizierei proprio da quest’ultimo aspetto. Ritengo effettivamente che i pericoli di infiltrazione mafiosi ci siano soprattutto in un momento così difficile per l’Abruzzo. Sappiamo che le mafie imprenditrici cercano di infiltrarsi nell’ecomomia legale attraverso gli strumenti della criminalità economica, e sappiamo che nelle regioni che non sono interessate all’accupazione delle mafie questo avviene soprattutto nei momenti di difficoltà. D’altra parte già da tempo abbiamo constatato che ci sono tentativi di riciclaggio di denaro sporco proveniente da molte parti. Oppure che ci sono tentativi di inserirsi nell’impresa economica legale utilizzando per esempio l’attività finanziaria degli zingari di Pescara. E parlo per esperienza vissuta in relazione alle varie famiglie che hanno contatti con la Sacra Corona Unita».

Qual è il punto d’attacco delle mafie imprenditrici?

«La debolezza istituzionale, come quella che ha rivelato la Regione in questo periodo e in quello precedente (io avevo per esempio già iniziato molte indagini sulla illegalità del sistema sanitario). L’Abruzzo deve dunque guardarsi e stare attento in modo particolare adesso perché qui pioveranno molti soldi. Abbiamo la fortuna di avere all’Aquila il prefetto Franco Gabrielli con cui ho lavorato anche per indagini sul terrorismo. È uno dei poliziotti migliori che abbia conosciuto, per questo sono molto tranquillo circa il controllo che egli fa all’Aquila. Mi preoccupa di più Pescara che è la città della ricchezza e del movimento».

Dunque occorre tenere la guardia alta.
«Questa mia visione non vuole essere allarmante perché l’Abruzzo, come per fortuna ho verificato, non ha assolutamente le caratteristiche di un paese che può essere occupato dalla mafia. Ma l’Abruzzo mi fa paura perché gli abruzzesi sono tenaci ma non sanno indignarsi adeguatamente di fronte a situazioni particolari come quelle dell’illegalità e della malamministrazione. Il problema è che il cittadino spesso si trova disarmato di fronte alla corruzione o alla malamministrazione, oppure al conflitto di interesse tra pubblico e privato. Il Censis ha parlato di maionese impazzita. E come fa un comune cittadino a reagire?»

Per questo si affida sempre più all’azione della magistratura.
«Che oggi si cerca di colpire per evitare che possa esercitare la sua azione di controllo in modo indipendente».

Come la si colpisce?
«Approfittando della macchina della giustizia che non funziona, anche perché 200mila avvocati e altrettanti commercalisti perderebbero il posto ove le procedure fossero più snelle».

Allora cosa dovrebbero fare le istituzioni?
«Oggi di fronte a un problema che riguarda tutti bisogna porsi il problema dell’interesse generale e non quello dell’autoreferenzialità di casta. Occorre che le varie classi dirigenti si mettano attorno a un tavolo istituzionale per porre il problema della legalità al centro del discorso e affrontarlo. E dico tavolo istituzionale, non una cena di gruppo, dove di fronte all’opinione pubblica ognuno dice: io questa cosa la voglio risolvere così, e poi si prendono le decisioni tutti insieme. Fino a quando non si farà questo non potremo andare avanti. Poi darei un altro consiglio».

Dica.
«Leggere la Costituzione. Io trovo ogni riposta nella nostra Costituzione che è vitale e attuale ed è quella che ci dovrebbe aiutare a risolvere ogni problema».