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L’appello di Carlo Petrini: "Salviamo il Canestrato di Castel del Monte"

Il formaggio tra le tipicità da salvare per il papà di Slow Food. E Giulio Petronio lo porta alla quattro giorni di Bra dedicata alle forme del latte

L'AQUILA. Vivere e lavorare tra le alture. In perfetta simbiosi con il mondo pastorale, seppur rivisitato in chiave moderna. Là dove gli armenti costituiscono ancora una preziosa risorsa. Una ricchezza da preservare; una biodiversità che ha nei pascoli il suo habitat e che in caso di abbandono non ha futuro. E' l'appello che Carlo Petrini, di Slow Food ha lanciato dalle pagine del quotidiano “La Repubblica”. Fare alpeggio è, oggi, sempre più difficile, ma il fascino del contatto con la natura, immersi in un ambiente incontaminato, si tramanda ancora di generazione in generazione. La tradizione pastorale consente di portare in tavola prodotti unici, come il Canestrato di Castel del Monte, uno dei formaggi più apprezzati d'Italia, che nasce nel cuore dell'Abruzzo dal latte di pecore nutrite con una varietà di oltre 300 erbe del Gran Sasso.

Tra i monti abruzzesi la pastorizia e la transumanza non sono solo orgoglio locale, ma patrimonio culturale tramandato nei secoli e una risorsa su cui scommettere per aprirsi ad un mercato gastronomico sempre più esigente. Il Canestrato di Castel del Monte è uno dei protagonisti della decima edizione di “Cheese- Le frme del latte”, in programma a Bra, tra Langhe e Roero, fino al 21 settembre. Una quattro giorni che Sloowfood dedica alle forme del latte e ai produttori.

Giulio Petronio, pastore di Castel Del Monte e presidente del consorzio di tutela del Canestrato, è un uomo di montagna, che della pastorizia ha fatto una professione. Messo da parte il diploma di perito meccanico, è tornato a fare il pastore proprio come il padre. «Aveva fatto tanti sacrifici per farmi studiare», ricorda Petronio, «ma io, a 19 anni appena, ho messo da parte tutto per riavviare l'attività: ho comprato trecento pecore, insieme a mio zio e mio cugino, e da lì ho iniziato un nuovo percorso». Oggi Petronio guida l'azienda zootecnica più grande della zona, che conta 1.400 pecore. «Un castellano», dice, «ha la pastorizia nel dna. Sono cresciuto in mezzo alle pecore, come mio figlio, Claudio, che a 25 anni ha messo su un'azienda in proprio. Anche lui fa il pastore».

Giulio Petronio è in procinto di partire per le colline pescaresi. Questo è il periodo della transumanza, in cui le greggi scendevano in Puglia, verso climi più miti: «Noi ci fermeremo nel Pescarese, sposterò il primo gruppo di pecore all'inizio di ottobre».

Armenti da cui si ricava il latte, materia prima per la produzione del pregiato Canestrato. Lo stesso prodotto da Rosetta e Donatella Germano. Anche Rosetta, lauretata in economia e commercio, ha preferito dedicarsi alla pastorizia: «Ho un'attività con 120 capi ovini e un laboratorio di biscotti e confetture. Fino al 2002, quando era vivo mio padre, avevamo quasi 800 pecore». Rosetta parla del mondo pastorale come di un universo a parte: «Certo, è un mestiere duro. Niente feste, né giorni di riposo. Tutto è funzionale ad un meccanismo che non conosce sosta».

Da quest'anno l'azienda Germano ha iniziato a produrre in proprio il Canestrato di Castel del Monte, che viene distibuito in tutta Italia. «Un formaggio», aggiunge Rosetta, «in cui i sapori delle erbe abruzzesi, di cui si nutrono le nostre pecore, si fondono con la lavorazione fatta a latte crudo, non pastorizzato, con una stagionatura che varia da sessanta giorni a un anno».

Un'attività, quella della pastorizia, che si scontra con le leggi di mercato, con tutele sempre più basse e la difficoltà di fare cassa, quando si punta soprattutto sulla qualità del prodotto. «Non possiamo pensare di perdere tutto questo in nome di un mercato che ha trasformato in merce prima il cibo, poi le conoscenze ancestrali che ne costituiscono l'humus», scrive Petrini, «se siamo quel che mangiamo, il latte degli alpeggi ci può dare armonia, natura e poesia».

Monica Pelliccione

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