Abruzzo – L’inchiesta

L’affare della cocaina in carcere a Teramo: il corriere era un agente di polizia penitenziaria, riceveva tremila euro

27 Luglio 2025

Droga da Roma all’Abruzzo, un agente era a libro paga dell’organizzazione per rifornire Castrogno. Le intercettazioni rivelano il doppio gioco. (Nella foto,  il procuratore dell’Aquila Alberto Sgambati e la pm Roberta D’Avolio che ha guidato l’indagine “End to End” con 13 arresti)

PESCARA. «Oh, è na panetta e come la entro questa così? Come me la devo mettere per farla entrare... conta che io ci passo dei c.. E dei soldi non te l’ha detto?». Non è facile portare la droga in carcere anche per un agente della polizia penitenziaria che, per arrotondare lo stipendio, si presta a fare da tramite tra gli spacciatori affamati di soldi e i detenuti nel carcere di Castrogno a Teramo. Un corriere della droga in divisa, pagato con bonifici su una carta Postepay. «Dove c. me la imbosco sta cosa... io gliel’ho detto facciamo in due volte», si lamenta il poliziotto penitenziario nascosto nell’auto dello spacciatore parcheggiata nello slargo davanti a Castrogno. E lui, tranquillo, gli consiglia: «Eh, lo puoi mettere sotto al giubbotto». Ma la guardia del carcere lo sa che sta correndo un rischio grosso: «Così mi fa arresta’. Con tutti quelli che lo vogliono però». Sì, perché vendere la droga in carcere è un moltiplicatore di guadagni. «I soldi mo quando me li date», chiede l’agente che detta le sue condizioni, «settimana prossima, lunedì, martedì. Se lunedì è meglio... io gliel’ho detto massimo fino a martedì, mo fammi andare a nascondere, tu mettiti girato».

Le intercettazioni dell’inchiesta “End to End”, sfociata in 13 arresti con una lista di 34 indagati tra Abruzzo e Lazio, raccontano che l’affare dello spaccio non ha confini e riesce a varcare anche il perimetro di un luogo in cui ogni frammento di giornata scorre sotto la lente dei controlli: la droga che si muoveva sull’asse Roma-Pescara – cocaina, hashish e marijuana a chili – finiva anche in carcere per rifornire i detenuti. E tra gli indagati c’è anche Domenico De Bellis, originario di Bari, 37 anni: durante l’indagine portata avanti dalla squadra mobile di Pescara con il coordinamento della Direzione distrettuale Antimafia dell’Aquila, De Bellis lavorava proprio nel carcere di Castrogno. A lui è contestato il reato di corruzione: da pubblico ufficiale avrebbe portato nella casa circondariale «alcuni telefoni cellulari e un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente» che gli investigatori della Mobile, guidati dal dirigente Gianluca Di Frischia, e il gip Marco Billi stimano «superiore a un chilo di hashish e 100 grammi di cocaina». E l’avrebbe fatto, «in violazione del suo dovere», per tremila euro, in parte accreditati su una carta Postepay.

Il dialogo intercettato dalla polizia avviene in auto, tra uno degli spacciatori finiti in arresto, Daniel Gaetano Hodges di Giulianova, 20 anni, e De Bellis: «Ci ha messo una freca di roba», dice lo spacciatore. E l’agente risponde in libertà e senza mezzi termini: «La coca la devo tagliare le buste... il sottovuoto è troppo grande e devo tagliare una bustina e me la devo mettere nel taschino e la devo tagliare». Insomma, dice De Bellis: «Meno volume fa e meglio è, ma questa è voluminosa assai... dove c. me la metto. È la coca sta messa bene, e quell’altro è il problema, quello è più di un chilo... l’altra puzza». E allora, per evitare che qualcuno annusi la droga, servono deodoranti e profumi: «Fammi portare un deodorante che io me lo spruzzo addosso, quello di casa che è forte, non me ne frega un c. pure che dici che ti sei spruzzato mi dicono che c. hai addosso, cioè mi stai a capire che ti voglio dire?».

In un’altra conversazione, De Bellis racconta tutti i rischi di portare la droga in carcere fino al detenuto destinatario che poi la rivende agli altri: «Io ho detto non è che sto a fare il morto di fame, si stavano pure aprendo, con il peso se ne venne il bottone. Io, a un certo punto, stavo accanto a una persona che se mi cadeva mi arrestavano».

Tra gli argomenti di cui parlare c’è anche il modo più sicuro per mandarsi i messaggi dribblando le indagini delle forze dell’ordine: «Com’è sta applicazione? Come si chiama?», chiede De Bellis. «Session», risponde lo spacciatore, «Session è proprio il migliore, per aprire devi mettere l’impronta digitale». E l’agente dice: «Allora la prossima volta facciamo una cosa: Session me lo installi tu, così ci messaggiamo io e te e ci diciamo...». Lo spacciatore spiega i dettagli: «Tu metti il nome casuale perché ti puoi chiamare pure “pinco pallino” e i messaggi dopo un’ora si cancellano».

Ma, alla fine, si finisce a parlare sempre di soldi: «Digli all’amico tuo, questo non si scala dai tremila... Digli così, gliel’hai scritto, e che ha detto?». «Ha detto va bene». «Non mi dire una bugia», dice il polioziotto penitenziario che non sembra fidarsi troppo. Secondo l’indagine, coordinata dalla pm della Dda dell’Aquila Roberta D’Avolio, i capi delle due organizzazioni coinvolte erano, da una parte, il 40enne Mirko Tucciarone, detto “Ing”, e, dall’altra, Alessandro Iezzi e Alessio Martella, 38 anni il primo e 31 il secondo, entrambi di Atri. Nei prossimi giorni, a partire già da domani, sono fissati i primi interrogatori di garanzia: gli arrestati sono difesi dagli avvocati Manuel Sciolè, Gianluigi Amoroso, Bruno Gallo, Giacomo Di Francesco, Alessandro Arienso e Antonio Valentini.