Le donne insieme per promuovere il patrimonio enogastronomico e culturale dell’Abruzzo: ecco il Pink Panel

L’intervista alla fondatrice Jenny Viant Gomez, giornalista freelance, degustatrice in concorsi enologici internazionali e divulgatrice digitale
PESCARA. Andare alla scoperta del Pink Panel significa entrare in un mondo tutto al femminile dove il vino e l’enogastronomia sono solo il pretesto per affrontare tante tematiche, dal ruolo delle donne oggi all’importanza dell’inclusività in tutte le sue forme. Le attuali componenti sono Jenny Viant Gomez, capo panel, le sommelier Giuliana Rotella, Pasquina Fracassi, Anna Solini, Norma Claudia Torrieri, Lucia Cruccolini, Lorenza Mammarella, Angela Sacarciolla, Antonella Teodori, Simona Di Nicola e Alessia Di Matteo, la gastronoma Enca Polidoro, le wine lover Sandra Pantalone, Iolanda Civitarese, Valentina Marchigiano e Stefania Custodero. Il Centro ha intervistato la fondatrice Jenny Viant Gomez, giornalista freelance, degustatrice in concorsi enologici internazionali e divulgatrice digitale.
Il Pink Panel si occupa di promuovere il patrimonio enogastronomico e culturale della nostra regione. Ce ne parla meglio?
«Il Pink Panel nasce un po’ per caso, un po’ per intuizione. Come accade con molte idee che arrivano quasi come se fossero una visione, spesso si concretizzano andando oltre le aspettative più rosee: in questo caso la definizione è proprio pertinente. Alla base c'è la volontà della sottoscritta che, avendo appurato la sensibilità spiccata delle donne nell'analisi sensoriale del vino, come si evince da tante ricerche scientifiche, ha voluto attingere a questa risorsa creando un panel di assaggio tutto "rosa", in modo da degustare vini alla cieca (cioè con le etichette coperte) e creare schede originali di abbinamento vino-cibo, senza attribuire punteggi».
Dopo le entusiasmanti degustazioni iniziali, sempre in contesti diversi, ospiti in tanti luoghi differenti, dall'enoteca alla banca, dal bistrot alla cantina, è arrivato il Covid con il conseguente stop alla convivialità.
«È stato il periodo in cui il Pink Panel ha condiviso più contenuti e dato vita a molteplici attività di divulgazione: tante le dirette per intervistare produttori e professionisti della filiera enogastronomica. Nel suo piccolo, il gruppo ha dato un contributo molto importante in termini di condivisione della conoscenza, in un periodo molto difficile. Senza cercarlo si è consolidata la brand identity del Pink Panel, pur non essendo l'obiettivo primario in quel momento. La ripartenza è stata meravigliosa: oltre all'acquisita visibilità, grazie alla costanza sui social, si è reso necessario avere segni distintivi, da cui l’outfit rosa. Foulard, sacche, occhiali, penne e cartelline, oltre a consolidare un’immagine coordinata, sono un modo vezzoso per far riflettere sullo stereotipo che da secoli accompagna la donna. Anche il Pink Panel è un "flag" contro i luoghi comuni legati all’identità di genere. Alle degustazioni della prima ora, dopo la pandemia, si sono aggiunte le visite alle cantine e ai laboratori gastronomici, unitamente alle esperienze attive, come gli itinerari turistici».
Nel vostro organico avete solo wine lover donne e puntate sull'empowerment femminile. Cosa vuol dire tutto ciò in un'epoca come quella attuale?
«A formare parte del gruppo sono state chiamate sia sommelier sia wine lover: queste ultime rappresentano il consumatore "comune", capace di dare giudizi semplici, spesso molto azzeccati e che riflettono il parere della maggior parte dei fruitori; insomma, coloro che acquistano e consumano senza essere addetti ai lavori. Il Pink Panel non è un progetto tra amiche: alcune sono semplicemente colleghe, ed è proprio questo il punto di forza. Circa 20 anime e caratteri diversi riescono a trovare posto in un contesto di positività. È un traguardo raggiunto con il tempo e con le correzioni di rotta. Qualcuna si è allontanata perché si aspettava altro, qualcuna vorrebbe esserci più per curiosità che per convinzione, qualcun’altra è stata allontanata, cortesemente, perché non rispecchiava lo spirito costruttivo utile al gruppo. Prima o poi le soliste si autoescludono, è giusto così».
In un’epoca di presenzialismo esasperato e autoproclamazioni a mezzo social, in gruppo è difficile starci.
«Certamente. Ma è proprio il gruppo a creare massa critica e a rendere più ricca e virale una visita, una degustazione o un’iniziativa. La condivisione, il dialogo, il confronto e, soprattutto, il rispetto vanno agiti e incentivati concretamente. Il Pink Panel modestamente lo fa. Un’ultima considerazione e non per importanza. In un periodo storico in cui la presenza digitale vede veicolata spesso l’immagine della donna, e sovente mortificata, ricalcando determinati cliché, il Pink Panel si è sempre contraddistinto per essere distante da certi modelli imperanti, nel massimo rispetto delle scelte altrui. Le appartenenti al Pink Panel possono essere appena maggiorenni oppure over 60 e non ci sono canoni estetici di sorta per aderire».
Quanto è importante la capacità di creare reti accrescendo la conoscenza?
«Le donne vengono spesso accusate di non saper fare rete, a volte è proprio vero. Il Pink Panel si incontra di norma una volta al mese. È un esercizio di condivisione, seppur per un periodo di tempo limitato, capace di dare risultati a livello personale e di gruppo. L’approccio relazionale virtuoso ha un effetto moltiplicatore e dall’esterno si percepisce. Così nascono collaborazioni, idee e possibilità di interazioni vantaggiose per tutti, all’interno e fuori dal gruppo».
Il vostro è un gruppo non profit, nel senso che si autofinanzia.
«Non solo il Pink Panel si autofinanzia, ma non ha mai fatto richieste economiche a chi ha ospitato il gruppo o ha inviato i campioni di vino. Fino a oggi ha funzionato così, benché non ci sia nulla di male a conseguire un beneficio economico, visto che è innegabile il vantaggio in termini di immagine per tutti gli attori coinvolti. A tale proposito, in passato si è reso necessario fare un chiarimento importante sui social network. C’è chi ha pensato di spacciarsi per membro del gruppo per “scroccare” una degustazione. Non è il modus operandi del Pink Panel. Anche da queste vicissitudini di percorso si capisce perché è importante essere identificabili e riconoscibili come membro di un gruppo che ha un’etica specifica di comportamento. Se è una “Pink” si vede, non solo dall’outfit rosa, ma anche dal modo rispettoso in cui interagisce con un produttore o titolare d’azienda, oppure dalla sensibilità con cui racconta un vino o una visita. Il Pink Panel ha in serbo un paio di iniziative importanti, per forza si renderà necessario ricorrere a sponsorizzazioni, che in realtà saranno partnership con chi vorrà affiancare i progetti. I tempi sono maturi per rendere sistemico e condividere con un pubblico più vasto, senza distinzione di sesso, l’approccio del Pink Panel al comparto enogastronomico e turistico, attraverso focus tematici su determinati argomenti, iniziative specifiche di empowerment e tanto altro».
Com'è andata l'esperienza al Vinitaly?
«Il Vinitaly, fino a prova contraria, è l’evento italiano che ha più richiamo, sia in termini commerciali che mediatici. Per il Pink Panel si è trattato di un momento molto atteso: i produttori che hanno ospitato il gruppo nel 2024 hanno ricevuto la segnalazione d’eccellenza “Recommended by Pink Panel”. Da quest’anno diventerà una vetrofania da incollare sull’ingresso della propria attività».
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