Marsilio: «I tre assessori? Solo se approvano la riforma elettorale»

18 Ottobre 2025

Il governatore, ospite di Rete8, parla a ruota libera con Perantuono e Telese: «Ci stiamo occupando della A14. Con noi sanità migliorata»

CHIETI. «Il mio successore? Ho le mie idee su chi potrebbe essere». È un Marco Marsilio a ruota libera quello ospite ieri sera alle 22.30 a I fatti e le opinioni, il programma di Rete8 condotto da Carmine Perantuono che, insieme al direttore del Centro Luca Telese, ha intervistato il presidente della Regione. Dai grandi temi della politica nazionale ai problemi di coalizione a livello comunale, Marsilio si muove dal globale al locale con disinvoltura. Difende l’amica premier e lancia la bomba sul possibile aumento degli assessori «che potrebbero diventare 3 in più», ma aggiunge: «Si fa solo se la giunta approva la nuova legge elettorale». Un ricatto? «Sì, ma positivo».

Marsilio, partiamo dalla notizia del giorno: l’attentato al giornalista di Report Sigfrido Ranucci. È la prima volta nell'ultimo quarto di secolo che salta l'auto di un giornalista televisivo nazionale per un carico di tritolo. In che tempi viviamo?

«Appena sono stato sfiorato dalla notizia ho mandato personalmente un messaggio di solidarietà a Ranucci. Provo sgomento e inquietudine per quanto sta accadendo. Penso che tutto il dibattito pubblico si stia da tempo incattivendo e che non si misurano più le parole. Sembra di tornare a stagioni che pensavamo ormai superate».

A proposito di toni del dibattito pubblico, fa bene Meloni a dire che la sinistra è peggio di Hamas?

«Penso che questa sua reazione vada inquadrata in un contesto nel quale sia il presidente del Consiglio che il sottoscritto si sono sentiti dire: “Siete complici del genocidio” tanto nelle manifestazioni delle ultime settimane che nelle aule della politica. Questo è il livello del dibattito oggi».

Tutto giusto, ma la sua vicinanza a Meloni è tale che se dicesse: “Sì, questa volta Giorgia forse un po' esagerato” non si comprometterebbe il vostro rapporto.

«Ripeto, penso si reagisca magari in maniera indotta da un clima di discussione che travalica il senso della misura per ragioni di propaganda e che trasforma una posizione politica in una criminale».

E le dichiarazioni di Landini su Meloni? Le considera preoccupanti oppure una stupidaggine finita lì?

«Onestamente, mi preoccupano più altri aspetti dei sindacati».

Che intende?

«Questa settimana sono stato a Bruxelles e ho chiesto ai vari rappresentanti per quali ragioni i sindacati nei loro Paesi indicessero uno sciopero generale. Mi hanno risposto per gli stipendi, per le condizioni di lavoro e così via. In Belgio della Global Flotilla non sapevano nulla».

Contesta gli scioperi generali in sostegno della popolazione palestinese?

«Ne hanno proclamati a ripetizione, incolpandoci di complicità in genocidio, quando forse siamo tra le nazioni al mondo che più di tutti sta portando aiuti, sostegno e solidarietà concreta. E se ci riusciamo è anche grazie alla credibilità di un governo che ha un una posizione di equilibrio sullo scenario internazionale. Penso che la nostra capacità di dialogo, insieme a quella del governo Trump, abbia aiutato le parti a ragionare e ad accettare una condizione di pace che speriamo tutti sia duratura».

I fatti, però, sono diversi. L’accordo è stato raggiunto dopo le manifestazioni che ci sono state in tutto il mondo, dopo che gli stessi governi alleati di Trump gli hanno detto: «Non potete supportare Israele in maniera così acritica».

«Meloni, e così come lei il ministro della Difesa Crosetto e quello degli Esteri Tajani, ha criticato Israele quando ha passato il segno. Solo che è come se queste dichiarazioni non fossero mai state fatte. Perché raccontare che ci sia un atteggiamento acritico?».

Non poteva essere il governo italiano a creare il corridoio umanitario? Nessuno ci ha pensato finché non lo hanno fatto quei poveri matti della flottiglia che, come diceva Pannella, sono quei matti “che cambiano il mondo”.

«Ripeto, siamo tra le prime nazioni al mondo per quantità e qualità degli aiuti portati a Gaza. Non possiamo ricevere lezioni di solidarietà da chicchessia».

Passiamo all’Abruzzo. Uno dei temi più delicati è la sanità e noi conosciamo bene la sua battaglia alla Conferenza delle Regioni per rimodulare la ripartizione delle risorse del fondo sanitario nazionale. Finora, però, non ci sono stati grossi passi in avanti. Non è così?

«Per decenni nessuno aveva mai posto questo problema. Sono stato io a porlo per la prima volta. E ci sono venute dietro più di oltre una mezza dozzina di regioni, di ogni colore politico, e altre se ne stanno aggiungendo. Significa che è un problema concreto. Ora il presidente Fedriga ha il compito di tentare una mediazione, ma intanto abbiamo già ottenuto il risultato di far parlare finalmente della necessità di introdurre il principio della dispersione della popolazione sul territorio e della densità demografica nella ripartizione delle risorse».

Qual è l’equilibrio dei numeri tra le regioni?

«Stiamo sperimentando un sentiero nuovo, perché non è mai accaduto che le Regioni non trovassero un accordo. Se oggi non si trova l'intesa, però, è perché non vengono soddisfatte le nostre richieste».

Il governo può dare un indirizzo decisivo?

«La mia tesi è che il governo nazionale debba fare l'arbitro, fare il punto sulle diverse proposte e mediare a un livello superiore».

Quale sarebbe l’esito migliore del dialogo tra le Regioni?

«Spero che le regioni più grandi, invece di usare la prepotenza del numero e della forza, capiscano quali sono le ragioni reali e non pretestuose che stanno sollevando tutte le regioni più piccole e spopolate».

Quindi questa battaglia per una nuova ripartizione del Fondo è anche una battaglia contro lo spopolamento?

«Nella seduta plenaria del Comitato delle Regioni di Bruxelles a cui ho partecipato, uno dei panel principali era proprio sul diritto a restare. E quale migliore ricetta per garantire questo diritto che non sia pagare il sovrapprezzo che costa portare in luoghi simili i servizi più importanti, a cominciare da quello sanitario?».

Il sistema però, non sembra essere sostenibile. Mantenere un grande corpo che non riesci a reggere non porta al rischio che alla fine il servizio non sia quello che i cittadini si immaginano?

«Nel 2026 la sanità abruzzese avrà circa 100 milioni in più a disposizione, ma se la distribuzione continua ad avvenire in maniera squilibrata le regioni che possono fare investimenti più importanti diventeranno sempre più attrattive perché poi non c'è niente da fare. Noi siamo abbiamo un livello di assistenza sufficiente, ma qualcuno si può permettere l'eccellenza e mi pare legittimo che chi ha una malattia, una patologia, soprattutto se complessa, si sposti di 200 o 300 chilometri se migliora sensibilmente le sue aspettative di cura. Però le dico un dato».

Prego.

«Quando nel 2019 ho iniziato a governare, si facevano 400.000 prestazioni e le liste di attesa erano molto lunghe. Sette anni dopo, le prestazioni sono quasi il doppio, ma le liste d’attesa non sono diminuite sensibilmente. È chiaro che se prenoti una visita, soprattutto quelle specialistiche in cui i numeri sono quello che sono, e pretendi di averlo per forza sotto casa nei tempi previsti fai fatica in Abruzzo. Bisognerebbe anche cambiare un po’ mentalità, perché garantire tutto e subito in una regione come la nostra non è oggettivamente possibile».

Parlando di spostamenti, negli ultimi giorni è tornato a esplodere il caso della A14. Davvero una regione può essere sequestrata da cantieri dove spesso non si vedono nemmeno gli operai?

«È un problema molto serio. Aspi ci ha presentato i cronoprogrammi di lavoro e adesso stiamo verificando. Per diversi lavori la fine è attesa entro il 2026, ma abbiamo dei dubbi. L’assessore D’Annuntiis è in prima linea su questo fronte e presto potremo dare delle novità».

Ci promette un cronoprogramma firmato col sangue da autostrade per l'Italia? Gli abruzzesi, e non solo, hanno sopportato molto.

«Da Aspi c'è troppa reticenza. Siamo pronti a fare gli “umarells” ai cantieri (termine dialettale bolognese che si riferisce agli uomini in pensione che passano il tempo a guardare i lavori in corso, ndr)».

A proposito di dialetto, lei si è trasferito a Chieti. Ha imparato bene il dialetto locale o preferisce l’abruzzese standard per cui si sta dando tanto da fare Enrico Melozzi?

«La mia sonorità madrelingua è la variante toccana, che non è soltanto una Dop dell'olio d'oliva, e tutti sanno che basta scendere da Tocco da Casauria a Torre de Passeri per sentir parlare in maniera diversa. Ma sono contento di un'iniziativa come la Notte dei serpenti, un evento di politica culturale che la Regione Abruzzo ha voluto promuovere. Poi c’è chi critica, chi non critica... Intanto abbiamo creato un grande evento, un’opportunità».

Le critiche sono alle spalle?

«La Notte dei Serpenti ha allargato la nostra identità, il nostro mercato. La prima volta hanno dovuto – brutalizzo – pagare per essere trasmessi su una rete nazionale e noi abbiamo aiutato; la seconda volta sono stati trasmessi con piacere, facendo un buon risultato. Mi auguro che la terza volta questo confine si allarghi ancora».

Vuole togliere i finanziamenti alla Notte dei Serpenti?

«Bisogna guardare la vicenda da un’altra prospettiva. Un’iniziativa culturale di questo livello deve essere sostenuta pubblicamente in fase di start up. E noi lo abbiamo fatto. Se poi incontra il favore del mercato – ed è quello che sta accadendo – aumentano gli sponsor privati e la nostra contribuzione diminuisce. La tranquillizzo però: quest'anno sarà finanziato nella forma necessaria».

Chi critica sostiene che per finanziare la Notte dei Serpenti sono state definanziate altre manifestazioni culturali.

«Ho già risposto più volte a questa polemica, non solo non sono mai state tagliate, ma possiamo dimostrare, carte alla mano, che le manifestazioni culturali, quelle tradizionali, quelle che sono state sempre più o meno sostenute dalla Regione, con la nostra amministrazione hanno avuto più continuità e più risorse del passato. Quindi nessuno toglie niente a nessuno».

Il suo secondo e ultimo mandato lascerà in eredità la nuova legge elettorale per la quale si è battuto sin dai primi giorni della legislatura?

«Ci sto lavorando e continuerò ad insistere. Non è facile, perché serve abbattere qualche tabù e qualche antica consuetudine, però continuo a ritenere che l'Abruzzo abbia bisogno di una classe dirigente che sappia guardare in maniera sintetica quello che per troppo tempo è stato visto in maniera conflittuale, e cioè l’appartenenza alle diverse città, alle diverse province, alle diverse contrade e vallate del nostro territorio».

Rimaniamo sulla classe dirigente: due nuovi assessori, chi saranno o almeno come saranno scelti?

«Le do un titolo per il quotidiano: tecnicamente gli assessori possono essere tre».

È una notizia. Spieghi.

«Quando fu approvato lo statuto dell'Abruzzo si quantificò il numero di consiglieri in 6, ma la legge ci consente di averne sette. Poi è arrivata il nuovo testo che stabilisce che se ne possono avere due in più. Quindi potremmo fare una riforma dello statuto e portare gli assessori a 9».

Ci fa l’identikit dei nuovi consiglieri?

«Non faccio identikit perché non posso giurare che il consiglio regionale approverà la riforma e, qualora venisse approvata, che poi sarà concretamente utilizzata. Le dico, però, che è stato oggetto di discussione all’interno della maggioranza e che ho detto che prima va a portata a termine la modifica della legge elettorale».

È un ricatto?

«Positivo. Le riforme si fanno tutte e mi sembra una questione di serietà dire che quella messa in cantiere un anno e mezzo fa debba concludere il suo percorso».

Ma avere assessori regionali avrebbe qualche ritorno?

«Il numero di assessori serve anche a essere più competitivi rispetto a Regioni come Lombardia, Lazio o Campania che hanno 10, 12 o 16 assessori per essere presenti dovunque serva. Ma so già che con la proposta arriverà la solita campagna contro la politica con la sua carrellata di slogan come “Con i debiti che ci sono voi pensate alle poltrone?” e giù di lì. In realtà, lo dico subito anche se so che non servirà, i nuovi assessori saranno a costo zero».

Sono le normali polemiche sui costi della politica.

«Sono soprattutto questioni simboliche che colpiscono alla pancia, ma tra persone serie e persone informate bisognerebbe stare ai fatti. Che dicono che l'Abruzzo con sei assessori soccombe in questa guerra continua per fare pressione, procacciare finanziamenti, ottenere l'attenzione dell’Europa, di Roma e così via».

Arriviamo alla domanda che tutti gli abruzzesi vorrebbero fare a Marsilio. Chi sarà il suo erede?

«L’altro ieri sono stati decisi i candidati delle regioni in cui si vota a novembre. Possiamo aprire questa partita per un’elezione che si farà nel 2029?».

Sceglierlo un mese prima non sarebbe una buona politica.

«E infatti mi auguro che ci sia una successione preparata per tempo, anche perché sarebbe sintomatica di una coalizione coesa, forte, che non si dilania sui nomi. Ma c’è veramente tanto tempo di fronte».

Non ha un suo candidato prediletto?

«È naturale che io abbia le mie idee».

Quindi c'è un delfino?

«Raccontarlo oggi non serve non servirebbe a nulla. Anzi, sarebbe dannoso. Quello che penso lo tengo per me».

Se le elezioni regionali sono lontane, quelle comunali a Chieti distano appena una manciata di mesi: che ruolo intende giocare?

«Lavorerò per l’unità della coalizione, perché penso che Chieti abbia bisogno di superare le divisioni del centrodestra che hanno provocato l’imprevista vittoria di Ferrara in quel ballottaggio 5 anni fa. Se il centrodestra di Chieti trova la sintesi, ce la può fare».

La “sintesi” sarà un candidato della Lega?

«Sarà un profilo di centrodestra. La mia opinione personale è che dopo il lungo logoramento che ha colpito negli anni il centrodestra, la classe dirigente può suggerire, come sta accadendo ad Avezzano, di puntare su un profilo civico che possa far sentire tutti ugualmente rappresentati senza dover piantare bandierine. A Sulmona, in questo modo, abbiamo ottenuto una vittoria schiacciante».

Ad Ortona, però, evitò di prendere parte.

«Io lavoro per la coalizione in tutte le campagne elettorali, tranne in qualche situazione particolare. In quel caso ho evitato perché avevo di fronte una coalizione divisa».

Avrà lo stesso imbarazzo ad Avezzano per la situazione tra Verrecchia e Quaglieri.

«Mi pare che Quaglieri abbia ampiamente dichiarato la sua perfetta collaborazione con Verrecchia e con il partito. E comunque ad Avezzano la situazione è diversa, perché c’è una riflessione in corso da parte dei partiti e credo anche con legittimità, riconoscendo la fondatezza di entrambe le posizioni. Vedremo. Quando e dove le coalizioni di centrodestra si presentano unite, con un proprio candidato di bandiera, anche io entro in campo come esponente politico».

Speravamo di concludere un’intervista con almeno una sua critica a Meloni. Nella situazione in cui ci troviamo, l’Italia può spendere 10 miliardi di euro per 10 anni in spese militari aggiuntive?

«Non bisogna essere ipocriti sul tema della difesa. O l’esercito esiste, ha un senso e deve essere in grado di rispondere alle sfide che la sicurezza impone, oppure facciamo prima a decidere di disarmare il nostro esercito, di pensare che nessuno ci invaderà mai e che non abbiamo bisogno né di armi né di carri armati e che le uniche navi che servono sono quelle traghetto da mandare in Libia per prendere i migranti e portarli da noi in piena sicurezza».

Non sono troppi soldi?

«Se la guerra non è un nostro orizzonte, se non deve mai accadere nulla, allora non solo questi 10 miliardi sono troppi, ma sono eccessivi anche quelli che già si spendono. Se pensiamo che il mondo sia pacifico portiamo avanti questa idea fino in fondo. È un’idea nobilissima quella del disarmo unilaterale. Possiamo anche diventare tutti frati francescani e passare la vita con i sandali ai piedi. Io stesso sono stato ad omaggiare San Francesco ad Assisi. La vita, però, non è fatta solo di francescanesimo».

In alcuni giorni francescani, in altri 10 miliardi per le armi.

«Bisogna trovare una buona sintesi. Siccome i miliardi per la sanità sono stati messi dal governo di Roma come mai prima d’ora, non si può fare la polemica e dire che i soldi per la difesa sono tolti alla sanità, perché non sono sottratti a nessuno».

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