L’intervista

Mauro: «I dazi di Trump costano all’Abruzzo 350 milioni di euro»

14 Luglio 2025

L’economista lancia l’allarme: «Farmaceutico e alimentare i più colpiti, bisogna diversificare»

​​​​​L’AQUILA. Trecentocinquanta milioni di euro: a tanto potrebbe ammontare il danno per il sistema economico abruzzese se il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dovesse confermare i dazi al 30 per cento preannunciati per l’Europa. La stima arriva dall’economista e docente dell’Università D’Annunzio di Pescara, Pino Mauro. Difficile, invece, immaginare in questa fase le possibili ripercussioni sull’occupazione. Lo scenario, spiega l’esperto, è del tutto peculiare: per la regione, infatti, gli Usa sono uno sbocco prioritario e privilegiato e per questo l’imposizione di misure protezionistiche così impattanti potrebbe creare conseguenze pesantissime. In questo colloquio con il Centro, Mauro ipotizza gli scenari imminenti e fornisce delle chiavi di lettura per ammortizzare i possibili effetti negativi.

Professor Mauro, che scenario si prospetterebbe per l’Abruzzo?

«Partiamo da un presupposto fondamentale: dopo il calo progressivo e costante della Germania, oggi gli Stati Uniti rappresentano il primo Paese di destinazione delle merci abruzzesi».

È possibile quantificare questo andamento?

«Il dato più recente è quello del primo trimestre 2025, in cui abbiamo esportato negli States 820 milioni di euro. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno c’è una crescita significativa del 42%».

Aumento dovuto anche al timore dei dazi?

«Sì, ritengo che possa esserci anche questo aspetto, ma non solo».

Cioè?

«L’Abruzzo è la prima regione italiana come incidenza sul totale dell’export verso gli Stati Uniti. Nel 2024 questa quota era intorno al 17,5%. Nel primo trimestre 2025è cresciuta al 29%».

In quali settori si esporta di più?

«Essenzialmente tre. Il più importante è il farmaceutico che incide sul totale per il 72%. Ovvero 650 milioni su 820 complessivi, per stare al primo trimestre di quest’anno. Seguono il settore dei computer e degli apparecchi elettrici e poi i prodotti alimentari».

Dire farmaceutico significa pensare subito all’Aquila.

«Infatti si può delineare anche uno scenario provinciale che riguarda proprio questa provincia, dove sono allocate le principali aziende che esportano verso gli Stati Uniti il 67% del totale dei movimenti di questo territorio».

Professore, tutti questi “primati” lasciano intuire una cosa molto semplice: che qui, in Abruzzo, e all’Aquila in particolare, dazi del 30 per cento imposti dall’America avrebbero conseguenze più gravi che altrove.

«Sì, per tutta una serie di effetti indiretti, ma pensiamo anche alla crisi dell’automotive, che si ripercuote inevitabilmente sul sito di Atessa. Nell’ultimo trimestre le esportazioni dei mezzi di trasporto sono diminuite del 26%. Anche se attualmente sotto il profilo occupazionale il comparto tiene, potrebbero esserci prospettive negative sulla filiera della componentistica che serve soprattutto il mercato della Germania».

Quanto incide l’automotive sul totale dell’export nostrano?

«Nel 2019 era il 51% del totale, con una vocazione abruzzese quindi ben precisa. Adesso, dopo il calo pre-dazi, siamo intorno al 27%.Viceversa, il farmaceutico è passato in pochi anni dal 9% al 26%. Entrambi i settori possono essere colpiti dai dazi così come paventato da Trump».

L’altro settore di cui sui parla molto, per le possibili conseguenze negative, è l’alimentare.

«Sì, che in Abruzzo è soprattutto una risorsa endogena, con imprese radicate da moltissimi anni. Pensiamo al vino, soprattutto, ma anche alla pasta. Anche in questo ambito le conseguenze potrebbero essere pesanti».

Veniamo al cuore del problema, allora. Cosa rischia l’Abruzzo?

«Se dovessero essere sanciti dazi al 30 per cento, ci sarebbe una fase di abbassamento del Prodotto interno lordo e, quindi, di minore crescita».

Con quali dimensioni?

«Si può provare a fare una stima partendo da un ragionamento. A livello nazionale dazi al 10 per cento, come erano stati paventati, avrebbero generato un calo del Pil dello 0,3-0,4%, con una perdita per l’Abruzzo di 150 milioni di euro. Con dazi al 30 per cento lo scarto diventerebbe enorme, circa 350 milioni».

E l’occupazione?

«Ecco, questo è il nodo. Da un punto di vista complessivo un aumento dei servizi potrebbe compensare gli scompensi nella manifattura. Discorso diverso se i servizi non dovessero crescere: a quel punto l’occupazione ne risentirebbe, eccome».

Cosa si può fare? La premier Meloni sostiene la tesi del negoziato a oltranza.

«È l’unica cosa, mi sembra di poter dire in questa fase. Il problema è che ci sono vari rischi. Uno potrebbe essere quello di imprese che si trasferiscono negli Stati Uniti».

Contromisure possibili?

«Lavorare livello europeo e nazionale sulla diversificazione delle rotte, trovare sbocchi alternativi a quelli americani».

E a livello locale?

«Innanzitutto difendere a tutti costi la manifattura, che qui è centrale, un fiore all’occhiello del territorio. Basti pensare che addirittura negli anni passati le esportazioni compensavano il calo dei consumi».

L’Europa che ruolo può recitare?

«Sicuramente non quello di 27 “staterelli” che allungano la coperta a proprio vantaggio. Serve un continente che si contrapponga all’America e alla Cina.Un continente in cui ci sono 366 milioni di consumatori, contro i 330 degli Stati Uniti».

La classe dirigente abruzzese può immaginare una strategia o ha le mani legate?

«Sicuramente sostenere il sistema e provare a mettere in campo politiche di diversificazione. E poi rendere le nostre imprese più competitive, rafforzando la produttività. Non possiamo competere su finanza e digitalizzazione, ma sulla manifattura sì. Significa investire su infrastrutture, capitale umano, visione strategica del territorio. Non possiamo essere così dipendenti dagli Stati Uniti, non si può commettere un altro errore simile a quello fatto con l’energia nei confronti della Russia».

Come valuterebbe l’idea della “ritorsione” al posto del negoziato?

«Se il negoziato dovesse fallire bisognerebbe trovare un nuovo equilibrio. Si rischierebbe certamente di avere delle sanzioni, soprattutto su beni digitali, informatizzazione, grandi imprese Hi-Tech».

Cosa direbbe, oggi, a un giovane imprenditore abruzzese?

«Non ci sono altre risposte se non quella di cercare di rendere le imprese sempre più competitive e scandagliare nuovi mercati in una strategia complessiva».

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