«Modello Abruzzo contro la criminalità»

LA GIORNATA DELLA LEGALITÀ A Pescara ricordato Emilio Alessandrini Canzio: «Iniqua la durata dei processi»

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PESCARA. Dal dramma dell’Aquila all’Esposizione universale di Milano, la lotta alle infiltrazioni criminali passa per l’Abruzzo: «Il modello di “diga” che stiamo sperimentando dopo il sisma sta funzionando, se è vero che è stato trasferito negli stessi termini all’Expo 2015».

I nuovi strumenti, spiega il sottosegretario al ministero dell’Interno Alfredo Mantovano, sono la tracciabilità dei flussi finanziari destinati ai lavori, la stazione unica appaltante, il desk interforze, la banca dati della certificazione anti-mafia che «permetteranno di circoscrivere fortemente i rischi di infiltrazioni». Un programma di iniziative sperimentato in Abruzzo «che nei suoi tratti essenziali costituisce la base per il piano straordinario contro la mafia che il parlamento ha cominciato a discutere in queste settimane».

Mantovano parla nel giorno in cui a Pescara si celebra la prima delle due giornate che la Regione Abruzzo dedica alla legalità, in memoria di Emilio Alessandrini ucciso nel 1979 dai terroristi di Prima Linea. Con lui sono arrivati a Pescara il presidente emerito della Camera Luciano Violante, il presidente della Corte d’appello dell’Aquila Giovanni Canzio e Vito Zincani, procuratore capo a Modena, che del giudice ucciso fu amico.

In piazza Unione, l’omaggio ad Alessandrini prende la forma di una scultura dell’artista romano Davide Orlandi Domino: un’opera dedicata ai Caduti per la sicurezza, la legalità e la giustizia che viene inaugurata tra gli applausi di una piccola folla di autorità (presenti tra gli altri il procuratore Nicola Trifuoggi, il prefetto Paolo Orrei e il questore Paolo Passamonti), mentre Marco Alessandrini, figlio del magistrato e capogruppo del Pd in Comune, legge il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ricorda il coraggio e la coerenza del giudice ucciso e i tanti «fedeli servitori dello Stato» che hanno sacrificato la propria vita per opporsi al crimine.

«Alessandrini fu un martire della giustizia, la sua stella polare ci indica la via» dice poco dopo nella sala consiliare l’assessore regionale Carlo Masci, titolare della delega alla Legalità e promotore della tavola rotonda dedicata alle funzioni di governo e al ruolo dei giudici, moderata da Vittorio Manes, docente di Diritto penale all’università del Salento e presidente del comitato scientifico regionale per la sicurezza.

Ma per rispondere alle esigenze dei cittadini, sottolinea Canzio nel corso del dibattito è necessario prendere atto che la giustizia italiana «versa in uno stato di crisi vera» soprattutto nel settore civile, una situazione di degrado che si traduce in sfiducia e delegittimazione «perché non si riesce a fornire un servizio al cittadino che lo chiede» e in cui i magistrati sono costretti ogni giorno a confrontarsi con risorse umane e mezzi limitati.
«Il vero problema non è la separazione delle carriere, ma l’iniqua durata del processo».

Una durata irragionevole per tutti, compresi i potenti: «Vorremmo sapere prima possibile se per un personaggio politico di rilievo che viene investito da certe ipotesi di reato, le ipotesi vengono confermate o smentite» dice il magistrato, che durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, lo scorso gennaio, annunciò una corsia preferenziale per i grandi processi. Il problema però, sottolinea, «che oggi il processo mediatico precede quello nelle aule di giustizia».

Al centro resta il problema del ruolo dei magistrati, agitato a ogni nuova inchiesta che travolga esponenti politici. Eppure, sottolinea Luciano Violante, accanto alla responsabilità penale deve esistere una responsabilità politica e personale: «Che vuol dire che un ministro si è dimesso anche se non ha ricevuto avvisi di garanzia?» si chiede riferendosi allo scandalo che ha travolto Claudio Scajola. «Quello giudiziario non può essere l’unico luogo della responsabilità, bisogna ricostruire una gerarchia di valori, ripartire dalla responsabilità» ammonisce.

È proprio in una situazione in cui tutte le regole saltano che la magistratura può trovarsi in un territorio di frontiera. Lo fa notare Zincani: «Non escludo che la magistratura abbia invaso arbitrariamente un campo non suo, ma sia chiaro che si tratta di eccezioni che sono state stigmatizzate dagli stessi magistrati. E la regola è un’altra: che spesso la magistratura ha svolto un ruolo di supplenza». Il procuratore ricorda le inchieste che hanno segnato la sua carriera: la strage di Bologna, la banda della Uno Bianca: «Spesso abbiamo agito contro i poteri dello Stato, perché altrimenti non saremmo arrivati alla verità: quello che mi chiedo oggi è che cosa è stato fatto per impedire che la giustizia funzioni». Per esempio, i 287 interventi fatti dal 1989 a oggi sul processo penale.

Eppure secondo il presidente della Regione Gianni Chiodi occorre avere fiducia «perché se è vero che in Abruzzo alcune volte si è riscontrata una situazione patologica nelle istituzioni, è vero anche che molti hanno fatto il loro dovere: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce» dice citando Mao, e lanciando l’idea di un codice etico per la politica abruzzese.

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