Mostro di Firenze, 51 anni fa l’arresto di un abruzzese: 12 giorni da assassino seriale

6 Novembre 2025

Da 51 anni va avanti il mistero su una storia che ha gettato l’Italia nella paura. Nel 1974 Guido Giovannini fu accusato, preso ad Ari e interrogato, poi prosciolto

CHIETI. Sembra un caso confinato a Firenze, invece le sue radici arrivano fino alle colline abruzzesi, tra i filari d’uva e le strade silenziose di Ari, in provincia di Chieti. È qui che, nel 1974, Guido Giovannini, si ritrovò trascinato nel vortice di uno dei più oscuri misteri italiani: quello del Mostro di Firenze. Una storia che ancora oggi, a 51 anni dal primo colpo di pistola, continua a inquietare l’Italia, riemergendo perfino nelle aule del Parlamento. “I guardoni di Firenze” è il titolo della puntata di “31 minuti”, il settimanale di approfondimento di Rete8 in collaborazione con il Centro che va in onda questa sera alle ore 22,30.

Una storia di un’Italia lontana nel tempo, ma che è ancora di attualità: proprio questa mattina, in una seduta della commissione parlamentare d’inchiesta, si parla dei legami tra il Mostro di Firenze e la comunità del Forteto con l’audizione di Michele Giuttari, ex capo della Mobile di Firenze. Una storia che colpì e colpisce così tanto l’opinione pubblica che adesso è anche una serie Netflix, firmata dal regista Stefano Sollima. E tra i tanti che cercano ancora risposte c’è Gianluca Di Febo, musicista di Montesilvano e appassionato del caso: da bambino rimase sconvolto vedendo in televisione le notizie degli omicidi, e ora è uno studioso del caso. Ospite della puntata di questa sera, Di Febo racconta quegli anni di paura quando la notizia circolava su tutte le tv. E a ripercorrere la cronaca di quei delitti c’è anche Marco Gregoretti, giornalista di inchiesta e investigativo.

I sette duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze avvennero tra il 1974 e il 1985, sempre in una notte di novilunio e tutti con la stessa pistola Beretta serie 70 calibro 22 con cartucce Winchester con impressa la lettera “h” sul fondello del bossolo. Quell’arma non fu mai trovata. Le vittime, giovani coppie in cerca d’intimità, venivano sorprese, uccise con efferatezza e mutilate. Nessuno scopo apparente, se non il sadismo e l’ossessione. Il primo delitto, quello del 1974, ha una storia che porta fino in Abruzzo. Guido Giovannini, nato a Francavilla, si era trasferito per lavoro a Borgo di San Lorenzo. E lì era diventato un personaggio noto: era considerato un guardone e anche un esibizionista. Fu lui, per una manciata di giorni, il “colpevole perfetto” del primo duplice omicidio contestato al Mostro di Firenze: Pasquale Gentilcore, 19 anni, e Stefania Pettini, 18enne, massacrati il 14 settembre 1974 nella Fiat 127 blu di Pasquale.

Contro l’abruzzese non c’erano prove solide, ma solo voci, sospetti, una telefonata e una lettera anonima che segnalava la sua macchina, una 127, vicino al luogo del delitto. Sulla base di queste accuse, Giovannini fu arrestato mentre lavorava nella Cantina sociale di Ari. Durante il viaggio da Ari a Firenze, Giovannini, forse consapevole di essere vittima di un disegno più grande di lui, disse ai carabinieri che avrebbe fatto i nomi di altri guardoni appartenenti alle forze dell’ordine. Ma non lo fece. Dopo 12 giorni, le accuse contro di lui crollarono come un castello di carte: le armi sequestrate non c’entravano con quel delitto e il sangue trovato su una roncola era di un animale; le testimonianze contraddittorie.

Giovannini fu liberato mentre l’autore degli omicidi era ancora là fuori. Da allora, il suo nome è un’ombra nella storia del Mostro di Firenze, un tassello dimenticato di una vicenda che unì le campagne fiorentine alle colline abruzzesi. Il caso torna al centro dell’attenzione anche con un’audizione in Parlamento, attesa per questa mattina, di Michele Giuttari, l’ex capo della Mobile di Firenze che condusse le indagini fino all’arresto di Pietro Pacciani. «Un assassino spinto da impulsi sessuali abnormi, sadico e destrimane, con una destrezza semiprofessionale nell’uso del coltello», così Giuttari lo descrive nel suo libro “I mostri di Firenze e il patto segreto”. Ma dietro quella figura forse si nascondono più mani. Anche potenti.

Le piste seguite negli anni sono diverse. La pista sarda, che legava il Mostro a un gruppo di pastori trasferiti in Toscana, prese corpo nel 1982 dopo il raffronto balistico tra i bossoli di un duplice omicidio risalente al 1968, quello di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, e tutti gli altri della serie: stessa pistola, stessa firma. Ma le indagini non portarono a nulla. Con la pista sarda avviata verso un vicolo cieco, nel 1984, gli inquirenti organizzarono una squadra speciale antimostro composta di esperti poliziotti e carabinieri. Poi, venne la pista dei “compagni di merende”, quella che consegnò alla storia personaggi come Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Pacciani, definito dagli inquirenti come «rozzo contadino dal cervello fine», fu condannato in primo grado, assolto in appello e poi nuovamente indagato. Morì prima del nuovo processo, lasciando tutto in sospeso. Oggi le indagini proseguono tra gli errori e i depistaggi del passato.

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