Mussolini al soldo dei servizi segreti della Gran Bretagna

Da agente al servizio di sua maestà a nemico del Regno: nel 1917 Benito Mussolini, che pochi anni dopo diventò il duce del fascismo, era stato ingaggiato dai servizi segreti britannici affinché, tramite la propaganda del suo giornale e la sua determinazione a reprimere le manifestazioni pacifiste, persuadesse l’Italia a restare al fianco degli alleati nel primo conflitto mondiale dopo la defezione della Russia. A rivelarlo sono le ricerche di uno storico britannico. Secondo Peter Martland, questo il nome dello storico dell’università di Cambridge, le 100 sterline che l’MI5 versava a Mussolini ogni settimana, l’equivalente di 6.500 euro odierni, sarebbero servite al futuro dittatore fascista, allora direttore 34enne del giornale Il Popolo d’Italia, a gettare le basi per la sua carriera politica.

Peter Martland ha scoperto il passato di spia del duce esaminando gli archivi di sir Samuel Hoare, il parlamentare e futuro ministro degli Esteri che all’epoca coordinava le operazioni d’intelligence in Italia con uno staff di 100 agenti al suo servizio. Le ricerche di Martland sono state incluse nella biografia del «MI5 di Christopher Andrew, Defence of the Realm» pubblicata la scorsa settimana per celebrare il centesimo anniversario dei servizi di sicurezza interni. Con i soldi incassati dall’MI5 dall’autunno del 1917 per almeno un anno, Mussolini garantiva non solo di continuare a pubblicare il suo giornale e di fare propaganda a favore del conflitto, ma anche di mandare squadre di reduci militari a picchiare i manifestanti pacifisti a Milano, impedendo loro di fermare le fabbriche. L’ultima cosa che la Gran Bretagna del tempo voleva era che gli scioperi pacifisti fermassero le fabbriche di Milano.

Per un uomo che all’epoca faceva il giornalista quelli che riceveva dall’MI5 erano molti soldi, ma in confronto ai quattro milioni di sterline che la Gran Bretagna spendeva ogni giorno per la guerra era niente, ha spiegato al giornale The Guardian Peter Martland, che sospetta, inoltre, che parte dei soldi siano stati usati dal futuro duce del fascismo non solo per mettere a tacere i pacifisti, ma anche per poter mantenere un alto livello economico per le sue conquiste amorose. «Non ho le prove», specifico lo studioso britannico, «ma sospetto che Benito Mussolini, che era un noto donnaiolo, spese una buona parte dei soldi per le sue amanti». Dopo l’armistizio e la salita al potere del duce, le strade di Mussolini e di Hoare si incontrarono ancora. Fu infatti proprio Hoare, a quel punto diventato ministro degli Esteri, a firmare il patto Hoare-Laval, un piano che avrebbe dato all’Italia il controllo di alcune province dell’Abissinia.

Mussolini avrebbe accettato l’accordo, ma poco prima che lo firmasse il piano fu scoperto e denunciato come un tradimento ai danni degli Abissini da un giornale francese. Il governo britannico si dissociò dal piano e sia Hoare sia Laval, allora primo ministro francese, dovettero dimettersi. Secondo Martland, non vi sono ragioni di credere che Mussolini e Hoare fossero effettivamente degli amici, anche se Hoare aveva una lunga storia d’amore con l’Italia. E conclude: «Mussolini avrà pur finito la sua vita appeso a testa in giù a Milano, ma la storia non è stata gentile nemmeno nei confronti di Hoare, accusato di essere un simpatizzante del fascismo come Neville Chamberlain».