Nicola D’Auria: «Vi faccio scoprire Cantine aperte. Vino, famiglie e sogni si incontrano»

19 Maggio 2025

L’organizzatore: «I produttori devono differenziarsi, fare cultura e saper raccontare». Sabato 24 e domenica 25 torna la manifestazione regionale: cinquanta imprenditori protagonisti

ORTONA. Nicola D’Auria racconta la storia di “Cantine Aperte” in Abruzzo, l’evento che ogni anno nell’ultimo weekend di maggio apre le cantine ai visitatori da tutto il mondo. E lo fa con una passione che ti coinvolge, fino a farti dubitare di aver scelto la carriera giusta. Sabato 24 e domenica 25 più di cinquanta produttori abruzzesi accoglieranno in casa propria le decine di migliaia di turisti che si apprestano a scoprire i vini della regione. D’Auria conduce la cantina di famiglia “Dora Sarchese” a Ortona, un’attività nata nel 1983 dalla passione comune di un padre e di un figlio. L’imprenditore è dal 2010 il presidente del Movimento turismo del vino Abruzzo e dal 2018 allo scorso giugno è stato anche presidente nazionale del Movimento. Insomma, una vita spesa per diffondere la «cultura del vino»: chi meglio di lui può raccontare quest’evento tanto atteso? Lo abbiamo intervistato.

Qual è la cosa più bella di Cantine aperte?

«Il fatto di essere uno spazio per far incontrare al consumatore tutti quelli che sono dietro una bottiglia di vino: uomini, famiglie, i loro sogni e i loro sacrifici. In quelle due, tre ore che si passano insieme si crea un rapporto col consumatore che è straordinario. Noi diamo emozioni ai clienti. Così abbiamo creato una cultura che prima non c’era: l’enoturismo».

Che intende?

«L’iniziativa Cantine aperte nacque per riparare al problema del metanolo del vino. Molti clienti si stavano allontanando e allora a Donatella Cinelli Colombini venne l’idea di aprire le cantine ai visitatori, per mostrare la magia e la passione dietro ogni vino. È così che le persone hanno iniziato a conoscere il prodotto e il produttore ed è nato un settore che prima non c’era».

È bastato aprire le cantine per ravvivare il settore?

«Le cantine del Movimento turismo del vino sono state importanti, anche perché hanno investito molto sulle loro strutture. D’altra parte, se ho un ospite a casa cerco di fare il possibile per accoglierlo al meglio».

Quindi Cantine aperte non ha niente a che fare con una sagra?

«Assolutamente. Dico sempre ai produttori: “dobbiamo differenziarci, perché noi facciamo il vino, facciamo cultura”. Se tu vieni nella mia cantina, io ti devo raccontare il mio prodotto. Non è che prendi il calice e te ne vai. Noi facciamo cultura».

Quand’è che ha iniziato la sua attività?

«Non nasco vignaiolo, ma ragioniere con la passione del vino. Nel 1983 a me e mio padre venne voglia di comprare dei terreni e ci piantammo la vigna. Fu subito grande amore: seguì il corso Onav e poco dopo aprimmo una delle prime sale degustazioni del territorio. Era il 1989».

Tanti anni fa.

«Ero alle prime armi. Per imparare l’arte dell’accoglienza mi intrufolai in una commissione di enologi abruzzesi che aveva in programma una visita alle cantine sparse un po’ in tutta Italia. Avevano un approccio che era molto più avanti del nostro. Fu davvero importante».

Le piace ancora quello che fa?

«In realtà questa non è la mia prima attività; quella è la distillazione, ma il vino mi esalta in maniera particolare. Mi ha fatto crescere. La campagna è talmente bella che, anche se sei stanco, per lei ritrovi le energie. Spero di passare l’azienda ai miei figli. Uno fa l’enologo, quindi ha la passione. Ma l’importante è che facciano quello che gli piace, altrimenti meglio lasciar perdere».

Quando è iniziato Cantine aperte?

«Era il 1993. Da allora l’ultimo weekend di maggio di ogni anno le cantine aprono le porte ai visitatori. In Abruzzo arrivò qualche anno dopo, grazie all’Arssa di Avezzano che pagò le quote di partecipazione alle cantine per incentivarle».

Com’era l’evento in quegli anni?

«All’inizio si mangiava e beveva gratis. Ma anche se non si pagava il ritorno c’era, perché la gente comprava le bottiglie di vino. Quel giorno eravamo in migliaia a girare tra le cantine. Mi ricordo che per sponsorizzare l’evento davamo le brochure all’uscita dell’autostrada».

E oggi i numeri quali sono?

«Nell’intero weekend vengono più di 50mila persone per l’evento. Adesso, però, si pagano 5 euro per due degustazioni. Siamo dell’idea che le persone non devono ubriacarsi ma sedersi, assaggiare e scoprire. Sa che le cantine più gettonate sono quelle a conduzione familiare?»

Secondo lei perché?

«Per il consumatore sentire la storia della bottiglia di vino che va ad assaggiare è un valore aggiunto. Le grandi cantine hanno personale qualificato, ma non è la stessa cosa. Tra l’altro, noi ormai non siamo più solo produttori: siamo anche guide del territorio. Ci chiedono dove mangiare, quali monumenti vedere. E infatti noi ogni anno prepariamo una giornata di formazione su come accogliere i visitatori».

Di questi risultati lei ha dei meriti: è stato presidente del Movimento turismo del vino nazionale per due mandati ed è presidente dell’associazione abruzzese.

«Guidare il Movimento per il turismo italiano del vino non è semplice, bisogna trovare tanti compromessi. Ma abbiamo fatto delle cose molto belle: le presenze su Rai1, Rai2 e, più in generale, la notorietà che abbiamo dato al Movimento e all’Abruzzo. Sa che ho fatto parlare del Montepulciano in tutto il mondo?»

È un vino famoso, no?

«Certo, ma nessuno gli aveva mai fatto un monumento (ride, ndr): la fontana del vino, nella nostra cantina. Alcuni si fanno anche migliaia di chilometri per vederla. È una bella storia».

Racconti.

«Nella cattedrale di Ortona sono custodite le reliquie di San Tommaso apostolo. In città speriamo che il Papa venga a trovarci e per questo un’associazione ha creato il cammino di San Tommaso-San Pietro. Trecento chilometri di percorso che collegano Roma a Ortona e passando vicino alla nostra cantina».

E la fontana di Montepulciano cosa c’entra?

«Non abbia fretta, ci arrivo. Per tre-quattro anni abbiamo fatto il cammino dei “vignandanti”. Un percorso a piedi in cui si incontravano i produttori che raccontavano il vino. Era un successo: alcune volte eravamo anche in 400. Un giorno, durante una di queste camminate mi hanno fatto vedere la fontana del vino del cammino di Santiago de Compostela. Come l’ho vista, ho detto: la dobbiamo fare anche noi. Fu un successo».

In altre parole, sta dicendo che oggi la fontana è una tappa del cammino di San Tommaso-San Pietro?

«Pensi che quando ho pubblicizzato l’inaugurazione non ho messo alcuna foto della fontana, non volevo fare “spoiler”. Ma non sapevo che eravamo l’unica fontana del vino d’Italia. Sono venuti in 1500. Recentemente sono arrivate troupe dal Brasile e dalla Francia per raccontare la fontana, che ormai è più conosciuta della mia cantina (ride, ndr). Ma a me va bene così, l’importante è che se ne parli».

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