Rapporto sull'arretratezza

18 Marzo 2011

Dopo l'Unità il lungo cammino verso il benessere

«Acqua: da sorgente e pozzo, ove buona ove no. Alimenti: farinacei, legumi e verdure conditi con olio e grasso di maiale. Consumo del vino: scarso». Non c'era di che scialare, quarant'anni appena dopo l'Unità d'Italia. Lo dimostra la dieta-base dei contadini che vivevano ad Alanno nell'allora provincia di Teramo a cavallo fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.

Il menu è una delle tante piccole gemme contenute nella cosiddetta Relazione Jarach del 1909, «Abruzzi e Molise, tomo I, relazione del delegato tecnico Cesare Jarach, della Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle Provincie meridionali e nella Sicilia» un volume ripubblicato, in ristampa anastatica, nel 2007, dalla casa editrice aquilana, Textus. Cesare Jarach è il delegato tecnico che stese il rapporto conclusivo dell'Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia.

La Relazione Jarach giungeva a circa 30 anni da un'altra fondamentale testimonianza sulle condizioni economiche e di vita quotidiana in Abruzzo, il rapporto di Stefano Jacini negli anni '70 dell'Ottocento.

Anche se, a leggere la spartana dieta alimentare degli abitanti di Alanno non sembrerebbe che, nei trent'anni che separano quei due rapporti, le condizioni di vita in Abruzzo fossero andate, seppur lentamente, migliorando. «Tra le due inchieste», scrive lo storico Umberto Dante nell'introduzione al volume della Textus, «c'è una radicale differenza del ritmo di trasformazione della società descritta».

Negli anni '70, fotografati da Jacini, aggiunge lo storico dell'università dell'Aquila, «si andava profilando in Abruzzo una differenziazione profonda dentro la proprietà agraria, con una parte assai ristretta della regione e dell'imprenditoria che marciava sulla strada della modernizzazione. Tutto il resto viveva nel passato, immobile, in mezzo a carenze strutturali (tra le quali spiccavano la pochezza del credito e la scarsa cultura)».

Trent'anni dopo (e 40 dopo l'Unità), il paesaggio economico e sociale delle campagne abruzzesi, spiega Dante, «appare improvvisamente e profondamente cambiato». Per capire questo cambiamento, scrive lo storico, «la commissione si muove, si reca sui posti, indaga, intervista, si confronta con i soggetti sociali più differenti». Quali sono le condizioni materiali di vita in Abruzzo che emergono da questo rapporto? Il quadro è quello di un'arretratezza profonda e di condizioni di vita che oggi fatichiamo perfino a immaginare.

Il cibo. «Come nel passato», si legge nella Relazione Jarach, «mantiene ancora nell'alimentazione del contadino una grande prevalenza il consumo del granturco sotto forma di polenta e più di focaccia denominata pizza». Nei periodi «di maggiore lavoro, durante la fienaggione e la mietitura, durante il periodo delle irrorazioni delle viti, il contadino riserva una alimentazione più nutriente: allora egli consuma uova, carne di maiale, pesci salati, formaggio, e con maggior frequenza i maccheroni, tenuti nel ceto dei contadini quasi come un cibo di lusso». E nei giorni di festa? «L'alimentazione», spiega Jarach, «non è diversa da quella dei giorni di lavoro, ché anzi è, per l'abbondanza dei cibi ingeriti, generalmente inferiore, sopprimendosi quasi sempre un pasto».
«Solo nelle grandi solennità», conclude il rapporto, «si può dire che il contadino consumi carni fresche».

Il tetto . La casa media di una famiglia contadina è quella colonica con uno o due soli vani d'abitazione. Come si dividono questo spazio le famiglie? «I bambini», si legge nella relazione, «dormono nella stessa camera e bene spesso nello stesso letto coi genitori fino all'età in cui si suppone ciò non offenda i principii morali: quando il giovinetto ha raggiunto i nove o dieci anni, gli si provvede da dormire o nella stalla o in un pagliaio, o in un misero giaciglio nel vano di una sala interna. Avviene per molti, in questo modo, che, abbandonato nell'infanzia il letto dei genitori, non riposino più le loro membra fra due lenzuola se non andando alla milizia, o sposandosi». E le ragazze? «Se la casa ha più di un vano, esse dormiranno fuori dalla camera dei genitori, se no esse vi rimarranno qualunque sia la loro età».

Igiene e sanità. Cominciamo dalle caratteristiche fisiche. I maschi abruzzesi e molisani dell'inizio del Novecento hanno una statura media di 1,63: per meno di un centimetro inferiore a quella nazionale. «Tuttavia fa eccezione», annota Jarach, «un centro ben manifesto di alta statura che ha la sua sede nei circondari di Aquila e Cittaducale e manda qualche propaggine anche in quello di Avezzano». Gli abruzzesi compensavano, però, la bassa statura con una buona circonferenza toracica (87,2: superiore di 0,4 centimetri a quella media), tanto che, spiega la relazione, «nel quinquenno 1901-1905, gli Abruzzi e il Molise sono una delle regioni che ebbero minor proporzione di riformati», alla visita di leva.

C'è un paradosso che sollecita l'attenzione della commissione parlamentare d'inchiesta: quello della mortalità infantile che, durante il primo mese di vita dei bambini, è inferiore a quella media del resto d'Italia, ma negli altri 11 mesi del primo anno è ad essa superiore.

La spiegazione che del fenomeno dà Jarach è questa: «Il bambino abruzzese nasce relativamente robusto, meno esposto a morire che, nella maggior parte delle regioni del Regno, per vizi congeniti o poca resistenza» alle malattie. Invece, prosegue la relazione, «l'ambiente, nel quale il bambino inizia la sua vita, è tale che, superando la resistenza opposta dalla originaria robustezza, miete più numerose vittime da un mese ad un anno di vita che non avvenga, nello stesso periodo di esistenza, in quasi tutte le altre regioni del Regno».

Tuttavia, fra il 1887 e 1904, la mortalità nelle quattro province (l'Aquila, Campobasso, Chieti e Teramo) diminuisce a un ritmo più marcato che nel resto del Paese. In Italia si passa dai 27,99 morti per ogni mille abitanti del 1887 ai 20,95 del 1904. In Abruzzo, nello stesso periodo, la mortalità decresce in questa maniera. In provincia dell'Aquila si passa dal 31,16 al 22,32; in quella di Campobasso dal 39,56 al 25,06; in quella di Chieti dal 30,19 al 20,29; e in quella di Teramo dal 23,91 al 19,07.

Come si spiega questo fenomeno?

Jarach sottolinea, a questo proposito, «come sia concorde il parere dei medici riguardo alle cause della tanto considerevole diminuizione della mortalità nella regione (...): se in qualche Comune il medico riscontra la presenza di una causa particolare - costruzione di acquedotto, piccole bonifiche di terreni malarici ecc. - quasi tutti però accennano ad una causa generale, il miglioramento delle condizioni economiche, dal quale derivò vantaggio considerevole all'igiene e all'alimentazione».

L'istruzione. «Una delle inferiorità che maggiormente gravano sugli Abruzzi e sul Molise, in confronto ad altre regioni ed alla condizione media del Regno», si legge nella relazione, «è quella della istruzione elementare. L'analfabetismo, quantunque diminuito in misura notevolissima dalla costituzione del Regno in poi, raggiunge tuttavia anche oggi altezze considerevoli».

Quanto considerevoli? Ecco le cifre che spingono Jarach alla sua pessimistica conclusione. Su 100 abitanti da 6 anni compiuti in su, si passa dai 76,41 analfabeti uomini del 1872 ai 58,46 del 1910 (per la donne si passa dal 92,72 per cento al 79,84).
I dati medi nazionali, per la stessa classe di età, sono più bassi. Per gli uomini si scende dal 61,86 per cento del 1872 al 42,49 del 1901; per le donne dal 75,73 al 54,37. La provincia abruzzese con la percentuale più bassa di analfabeti è quella dell'Aquila. Quella di Teramo è all'estremità opposta.

La penuria di asili è, secondo la commissione di inchiesta, una delle cause principali della persistenza di sacche così consistenti di analfabetismo in Abruzzo: «Mancano innanzi tutto quegli istituti che, raccogliendo il bambino negli anni della infanzia più tenera, facendolo oggetto di cure amorose, abituandolo alla convivenza educata coi coetanei, lo invoglino più tardi a frequentare la scuola: gli asili infantili sono in numero quasi trascurabile in confronto alla popolazione». Soltanto 49 Comuni su 457 ne sono forniti. La situazione non è migliore per le scuole elementari. Quando invece le scuole ci sono, le loro condizioni materiali sono miserrime.

La descrizione che ne fa Cesare Jarach sembra presa di peso da un romanzo di Dickens. Ma, a ben vedere, non è molto lontana, in alcuni casi, dallo stato in cui si trovano tante scuole ancora oggi nell'Abruzzo del 2011.

«Aule strette, oscure, umide, prive di acqua e di latrine, si incontrano frequentissimamente nei Comuni minori e nei maggiori; ma non mancano inconvenienti più gravi: aule esposte all'azione dei gelidi venti montani per mancanza di vetri, banchi sconnessi e insufficienti al numero degli alunni, sì che alcuni debbono sedere a terra o sulla predella della cattedra, aule dove penetra l'acqua piovana».

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