Abruzzo

Tragedia di Rigopiano, il processo a Perugia: il procuratore chiede quattro condanne

18 Novembre 2025

Appello-bis. Il procuratore generale punta a far cadere la prescrizione per D’Incecco, Di Blasio, Lacchetta e Colangeli. Giovedì la requisitoria per i sei imputati della Regione

PERUGIA. Nell’aula degli Affreschi della corte d’Appello di Perugia, la stessa dove andò in scena il processo super mediatico per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, il colpo di scena arriva alla fine delle otto ore di requisitoria, dopo che il procuratore Paolo Barlucchi chiede la conferma della condanna espressa in primo grado (3 anni e 4 mesi) per l’ex dirigente della provincia di Pescara Paolo D’Incecco, l’ex responsabile del servizio viabilità dello stesso ente Mauro Di Blasio e l’ex sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (2 anni e 8 mesi) e la conferma della condanna di secondo grado per il tecnico comunale Enrico Colangeli (2 anni e 4 mesi, era assolto in primo grado). È un colpo di scena che riguarda proprio loro quattro, accusati di lesioni plurime colpose e omicidio plurimo colposo, reati prescritti anche secondo la Cassazione già dallo scorso febbraio e per i quali invece il procuratore tira fuori la sua «teoria»: nessuna prescrizione (che per questi reati scatta dopo 7 anni e mezzo, calcolati escludendo sospensive, Covid ed impedimenti degli avvocati), ma al contrario raddoppio dei tempi di prescrizione trattandosi di lesioni e omicidio colposo plurimo, dove “plurimo” rappresenta l’aggravante per cui è possibile applicare il raddoppio dei tempi previsti dalla legge.

«Questione infondata, da approfondire», mugugnano le difese mentre riprendono la strada di casa. «Questo può riaprire tanto le cose», dice invece l’avvocato Massimiliano Gabrielli che assiste le famiglie di tre vittime, e spiega: «È una interpretazione dell’articolo 589 che al terzo comma dice letteralmente che si raddoppia il termine di prescrizione per l'omicidio in forma aggravata, come è considerato l’omicidio plurimo. Ora toccherà alla corte d’appello valutarlo».

LA RICHIESTA DI CAPUTI

A questo punto sono circa le 18.30 quando l’aula si svuota e ne esce anche l’ingegner Pierlugi Caputi, l’unico dei dieci imputati presenti ieri in aula. Per l’ex dirigente regionale, come gli altri cinque regionali ripescati dalla Cassazione dopo la doppia assoluzione in primo e secondo grado (Carlo Giovani, Sandro Visca, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio), l’accusa è di disastro colposo per non aver sollecitato la politica a stanziare i fondi per la realizzazione della carta di localizzazione di pericolo da valanghe imposta dalla legge regionale 47 del ’92. Per loro la Procura parlerà giovedì. Ma ieri Caputi, per il tramite del suo legale, l’avvocato Francesco Carli in mattinata aveva però fatto in tempo a chiedere di mettere agli atti la nuova legge regionale 65 sul rischio valanghe, in via di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, tirando in ballo «il confitto di attribuzione». Ma per sentirsi però rigettare la richiesta dal presidente Paolo Micheli almeno fintanto diventi legge con la pubblicazione in Gazzetta. E con il procuratore che svelto commenta, «sarà un pregiudizio, ma mi sembra una sorta di arringa della difesa», seguito al microfono dalla sfilata degli avvocati delle parti civili che si oppongono a cominciare dall’avvocato Wania Della Vigna (l’unico fuori dal coro l’avvocato della regione Nicola Pisani che «non ha nulla da dire al riguardo»).

«PROVINCIALI COLPEVOLI»

Barlucchi parte dai due imputati della Provincia, dalla strada bloccata dalla neve e, soprattutto, dalla turbina rotta. E attacca così: «A Rigopiano tra il 17 e il 18 gennaio del 2017 succede l’Iradiddio. Quella mattina al bivio Mirri non si passa. Ma è al 17 che dobbiamo guardare, perché il 17 ci sono le previsioni che dicono che il rischio valanghe del 18 è pari a 4. E le previsioni ci hanno già preso perché il giorno prima dicono che il 17 il rischio sarebbe stato 3, e così succede. Ma nessuno si preoccupa della turbina che è rotta dal 6 gennaio». E allora il procuratore si spinge più indietro nel ricostruire le responsabilità: «Prima dobbiamo capire cosa non ha funzionato, non nelle sale operative, ma nella protezione civile che si è messa in condizione di una cosa del genere. E qui c’è un primo punto: i dirigenti della Provincia D’Incecco e Di Blasio sono già in una colpa tremenda, perché il problema della turbina andava risolto, non si può giocare ai dadi con la vita delle persone».

LA TURBINA

Tira in ballo la “competizione” tra Provincia e Anas, mentre ricorda che D’Incecco si rifiuta di chiedere la turbina che pure l’Anas ha di stanza a Penne: «Questo argomento di competitivita è stato il motivo per cui non ci si abbassa, da parte della Provincia a chiedere all’Anas un aiuto - perchè questo è avvenuto - anche se D’Inceccoc interrogato dirà che ha cercato il telefono di non so chi e che non l’ha trovato. Ma il 18 non sa che a Penne ci sono due turbine dell'Anas? Allora se non diciamo che l’ha fatto perché poi l’Anas avrebbe potuto rivendicare le competenze, diciamo che ha commesso una negligenza colossale, perché la turbina si rompe il 6 gennaio, il 7 la portano al recupero dal meccanico, la smontano, ci sono le foto, costa tanto il pezzo, ci sono i preventivi, l’ordine lo deve fare la Provincia, ma niente. Ed è di una gravità totale». E allora il procuratore accusa: «Avete preso una decisione, non l’avete presa? Invece sì, l’avete presa, di fottervene». E ancora: «È il responsabile della viabilità che dice come si deve fare. È essenziale che chi si occupa di assicurare la sicurezza, l’incolumità delle persone deve trovare comunque delle alternative, e lo deve fare subito». E va avanti: «Sappiamo che a un certo momento, una persona molto vicino alla presidenza della Regione, dice di aver procurato una turbina da Società autostrade che sta ad Avezzano, ma non sono stati capaci di mandare neanche lì un mezzo a prendere la turbina. È stato un caos totale, dove veramente nessuno sapeva chi comandava, se non a volte il presidente della Regione faceva valere la sua di voce, che si trattasse di sgomberare a tutti i costi una contrada di un piccolo paese di 3mila persone o un’altra cosa, ho letto e non condivido affatto: se un politico dà un ordine a un funzionario che non è della sua amministrazione si impiccia di qualcosa che non gli compete. Questo per dire che un comportamento alternativo da parte della Provincia era possibile, anche per la turbina che stava ad Avezzano. C’è da fare i funzionari provinciali che si occupano di viabilità, c’è da lavorare, non da sperare che non succeda niente. Questa vicenda della turbina è un elemento che colora e qualifica, e fa capire con quale superficialità e colpa i nostri due imputati hanno affrontato l’emergenza neve».

L’ALLERTA METEO

E ricorda: «Già dal 16 gennaio aveva nevicato un casino, era annunciata allerta meteo dal 12. C’è la mail dell’amministratore unico Bruno Di Tommaso del 13 gennaio alle 12.07 che manda alla provincia “inviamo segnalazione per la nuova allerta meteo”. E aggiunge, “cogliamo l'occasione per comunicare e da domani 14 e per giorni successivi saremo quasi al completo, abbiamo attivato servizio navetta da Farindola a Rigopiano, chiediamo assistenza viabilità». E quanto ai compiti di protezione civile che la Provincia non ha più dal 2015, ricorda il procuratore, «sanno cosa è stato scritto fino all’altroieri del pericolo valanghe in quella zona: quante volte hanno chiuso la provinciale dopo Rigopiano per andare a Vado di Sole, dicendo che ci sono le valanghe. La viabilità va fatta per l’incolumità, ma quando la turbina si è rotta se ne sono fregati, e se l’unico referente della viabilità su Farindola, Giancaterino, il 17 mattina scrive che la situazione è brutta “non abbiamo la turbina”». E aggiunge: «Non c’è solo di non aver portato via le persone dalla mattina, è anche di non aver chiuso nell’imminenza la strada, di o non esserti procurati un’altra turbina. Invece in questa situazione non solo non chiudono, ma il 17 pomeriggio fanno salire i turisti all’albergo. Sotto il profilo causale, non diciamo che se scavo la buca sono responsabile solo se non metto il cartello della buca: sono responsabile perché ho scavato quella buca. È lì la causalità, far andare su la gente senza avere la turbina, è una condotta commissiva che si aggiunge alle condotte omissive».

LACCHETTA E COLANGELI

Per spiegare le responsabilità dell’ex sindaco di Farindola Lacchetta e del tecnico comunale Colangeli, il procuratore si rifà proprio alla legge regionale 47 del ’92 con cui si chiede alla Regio di fare la Carta valanghe. «Ma», dice Barlucchi, «la scienza, la cartografia, non potranno mai prevedere con esattezza quello che succede e dove. Siamo nel mondo delle regole, non del rischio concreto di quando cascano. Ma», ricorda Barlucchi, «la legge si preoccupa di dire anche che se questi confini non sono stati ancora tracciati, l’amministratore locale può fare da sé lo studio intanto che non arriva la Clpv. Il sindaco non potrà mai dismettere l’obbligo di protezione civile che a lui spetta e lo dico perché il sindaco rivendica che loro non c'entrano nulla». Ma la commissione valanghe, chiede il procuratore, perché non si riunisce più dal 2005? Poi cita la Cassazione, secondo cui il giudizio di prevedibilità deve essere robusto: «Il 17 gennaio la prevedibilità era robusta, lo dicono le previsioni, lo scrive il sindaco sui social, c’è il bollettino meteomont». Tutte circostanze che si portano dietro «l’imminenza che si stabilisce in relazione alle condizioni di tempo e di luogo, all’esperienza, alla conoscenza del territorio, e questo te lo possono dire solo gli esperti in una commissione valanghe che a Farindola non si riunisce più». «Invece», aggiunge, «bastava fare l’ordinanza di sgombero dell’hotel e avrebbe rimediato alle omissioni colpose di chi era responsabile della viabilità».

Quanto a Colangeli, ricorda il procuratore, «era il referente del piano di emergenza comunale, lo ha fatto lui stesso, ma non lo aggiorna, anche se le linee guida del 2015 della protezione civile regionale non solo obbligano ad aggiornare il piano delle emergenze, ma mettono a disposizione dei comuni anche i tecnici per farlo. Ma Farindola, anche se viene sollecitata a febbraio 2015, resta immobile». Il motivo? Dice Barlucchi: «Quell’hotel con la spa sotto la montagna è stata una pazzia amministrativa, una scelta imprenditoriale lungimirante, ma una assoluta imprudenza, evitando che fosse valutato l'impatto complessivo. Perché quel posto, a Farindola, era come l’oro per le allodole».