Un intero paese diserta le urne Voti validi: uno

La sola lista in corsa per le comunali è forestiera Scatta il boicottaggio con astensionismo record

di ENRICO NARDECCHIA

Libertà va cercando ch’è sì cara come sa chi per lei voto rifiuta. Storpiando quel che Dante fa dire a Virgilio (che nel primo canto del Purgatorio parla di vita) si ha forse l’esatta dimensione del fenomeno Castelvecchio Calvisio. Il paese dello sciopero del voto, che cerca di restare in vita nonostante lo spopolamento, la parola Libertà ce l’ha scritta sullo stemma comunale. Sole pieno, proprio come quello di questa Festa della Repubblica, nella prima metà dello scudo blu. Nell’altra, quella parola troppo spesso abusata. C’è pure chi ci ha fatto un inno e l’ha chiamata azzurra. Ma questa è un’altra storia.

Per capire la libertà che si sono presi i 277 aventi diritto al voto (ma 150 stanno all’estero) di uno dei paesi più piccoli d’Abruzzo, quando hanno deciso che no, i forastieri non li votiamo, basta fare due passi nelle strade semideserte della minuscola capitale della protesta. Questa Lilliput che guarda il Gran Sasso e, sul crinale più vicino, la Rocca di Calascio, vive il suo singolarissimo 2 giugno senza sfilata né corona al monumento ai Caduti, dove un tricolore sta lì a ricordare che anche questo è un pezzo d’Italia. Magari un po’ abbandonato, magari malconcio. Ma pure qui è Festa nazionale. Lontani come sono gli echi della parata dei Fori Imperiali, si levano più chiare le (poche) voci del paese che, pur senza sentire l’appello che fu di Craxi ad “andare al mare”, ha girato alla larga dal seggio. Il voto è invalidato, la lista presentata da agenti della penitenziaria ha fatto flop, due bianche, due nulle e un solo voto valido assegnato sono lo scarno verbale dell’elezione-farsa che ha fatto il giro d’Italia. Il sindaco Dionisio Ciuffini, che governa dal 2004 e che oggi, almeno lui, è andato al mare per davvero, ha già chiamato in prefettura per consegnare le chiavi al commissario. «Mi sono sentito solo. Siamo stati abbandonati da tutti, partiti compresi. Pure il mio, il Pd. Serve un esame di coscienza collettivo. Avevo già deciso di non ricandidarmi. Amministrare comuni così piccoli senza strutture né risorse è impossibile. Non riusciamo ad abbassare i campanili e ad aggregarci, come andrebbe fatto. Il terremoto ci ha dato il colpo di grazia. La ricostruzione ha scatenato fantasie e appetiti, la situazione è diventata invivibile. Sono stato oggetto di denunce e ricatti. Le querele non le conto più. Sono una persona perbene e quindi sto a casa. Chi mi ha fatto la guerra non si è candidato. Qualcuno ha provato a fare una lista e non c’è riuscito. Poi sono venuti quelli da fuori e al seggio non c’è andato nessuno. Un fallimento della democrazia e di una comunità che non sa autodeterminarsi. La gente ha paura».

I FORASTIERI. «Il commissario non potrà fare quello che gli pare», sentenzia Palma Iannessa davanti a un giardinetto con vista sulla Rocca. «In questo paese non c’è niente, non solo il sindaco ma pure il resto. Specie in una giornata di festa come questa, chi si mette avanti a fare le sfilate? Per il paese una pubblicità negativa, ma le liste si devono fare per legge e tra i cittadini di Castelvecchio nessuno si vuole pigliare picci. Perché oggi è dura fare il sindaco. Quindi, chi dovevamo vota’ se non conosci nessuno? Io non li ho mai visti, tutti forastieri. Come si vive qua? Con la poca pensione. Chi ha il lavoro deve tenerselo da conto, mentre prima si lavorava la campagna e si cucinava. Oggi nessuno vuol fare più niente. Anzi, sai che ti dico», taglia corto mentre saluta la nipote Dora Visioni che annuisce, «lo Stato dovrebbe pagare chi ci vive, su questo colle».

PRETE A SCAVALCO. Oltre all’ufficio postale, pure il prete, qui, è a giorni alterni. Castelvecchio lo divide con Carapelle, che per la Chiesa dipende dalla Curia di Sulmona. Ma gli vogliono bene. «La messa tutti i giorni non c’è, ma il parroco s’impegna coi ragazzi che imparano a suonare la chitarra. Ma da qui la gente è andata via, anche perché le case sono ancora rotte». Già. Basta fare un giro lungo Borgo Archi Romani per capirlo: c’è ancora tanta zona rossa. Gianluca Priore è di Caporciano e sta completando la ripulitura dell’antico portone di una casa gentilizia. Lui, dunque, non parla di elezioni, mentre Armidoro Scacchitti ne può raccontare tante: 10 anni da assessore e 5 da consigliere. «Il paese è spaccato, l’hanno spaccato. Bisogna aprire ai giovani, facce nuove. E soprattutto non si può amministrare per 20 anni. Ci vuole gente del paese per tirarci fuori da questa situazione incresciosa. Il paese è abbandonato». In via Caronte ha casa Stefania Pezzopane «che però si vede poco», dice Scacchitti. Ma che sarà questo fumo così denso alle 11 del mattino in mezzo alla zona rossa? Tra le macerie – esteriori e interiori – di un paese che cerca di ritrovarsi spunta fuori una comitiva di liceali dello Scientifico, qui riuniti per quella che il padrone di casa, Samuele Ciuffini, nipote del sindaco, definisce «un’arrostata di classe». Davvero di classe. «Noi di politica non ci occupiamo, magari tra qualche anno...». Per ora, giusto il tempo di un clic prima che la carne vada a fuoco. Nel paese che sullo stemma ha la scritta libertà questi ragazzi santificano così una strana, stranissima Festa della Repubblica.

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