Guerra commerciale, Giordano: «Sui dazi non ho fiducia in von der Leyen»

Il conduttore è in scena lunedì all’Aquila insieme a Paragone: «Nostalgia per il nostro passato distrutto dalla cultura woke»
PESCARA. È un Mario Giordano “infuocato” quello che presenta il suo spettacolo “Mi ritorna in mente”, in scena lunedì (ore 21.30) all’Aquila, in occasione dei Cantieri dell’Immaginario. Sul palco sarà accompagnato da un altro giornalista, Gianluigi Paragone, e promette di non risparmiare niente e nessuno. Ma anche in quest’intervista non è da meno. Il conduttore del programma tv “Fuori dal coro” (in onda su Rete4) spazia dalla questione del riarmo europeo ai dazi di Trump. Come sempre, senza peli sulla lingua.
Giordano, arriva all’Aquila insieme a Paragone: questa è una coppia “fuori dal coro”?
«(ride, ndr) Direi di sì. E infatti facciamo uno spettacolo fuori dal coro, fuori da ogni aspettativa… Insomma, fuori da tutto».
Com’è nata questo progetto?
«Quasi per caso. Era da un po’ che pensavo di fare uno spettacolo a teatro. Io e Gianluigi ci siamo incontrati l’anno scorso ed è uscito fuori che anche lui aveva lo stesso progetto. Quindi abbiamo fatto due spettacoli “di prova”, uno al teatro Parioli di Roma e l’altro al Manzoni di Milano. Questa sarà la terza, poi a settembre parte la tournée».
Lo spettacolo si chiama “Mi ritorna in mente”. Nostalgia del passato?
«Esattamente. Nostalgia per il mondo che c’era e che, purtroppo, oggi non c’è più. Io e Paragone ci siamo trovati su un punto: tante cose che ci vengono spacciate come passo avanti - pensiamo al cibo sintetico, alla tecnologia, agli eccessi delle politiche green o al politicamente corretto – ci fanno rimpiangere il nostro vecchio mondo, quello dove siamo cresciuti».
Dobbiamo aspettarci il Giordano della televisione?
«Sarà molto, molto più aggressivo di quello che vedete in televisione. Andremo contro tutti quelli che hanno rovinato il mondo, contro quelle ideologie che hanno cancellato il nostro bel passato. Ci sarà da divertirsi, perché canteremo e metteremo a raffronto i testi del passato con quelli di oggi, ma rifletteremo anche sul presente in maniera dura, tosta».
Com’era questo mondo “antico” di cui avete nostalgia?
«Era un mondo dove potevi parlare italiano senza dover “ficcare” una parola d’inglese ogni tre, dove si poteva raccontare la favola della bella addormentata nel bosco senza dover essere accusati di violenza sessuale perché il principe bacia la ragazza addormentata e quindi non è consenziente».
Insomma, nel mirino di Giordano e Paragone c’è la cultura woke.
«Sì, noi partiremo proprio da lì, dal concetto di politicamente corretto, da chi vuole abolire la mamma e il papà, da chi con una sentenza della Cassazione ci dice che di mamma non ce n’è più una sola ma ce ne sono due, da chi vuole stravolgere il linguaggio per abolire il maschio e la femmina. Tutto ciò mette in confusione il nostro mondo, perché perdiamo la nostra identità, la nostra cultura».
Dove vede questa confusione?
«Nell’abbattimento delle statue di Colombo e di Churchill, nella messa sotto accusa di Omero, Dante e Shakespeare. E per cosa? Per lasciarci in balia della tecnologia, che con l’intelligenza artificiale arriva addirittura a sostituire l’uomo. Siamo sicuri che questo sia progresso?».
In “Dinasty”, il suo ultimo libro, parla delle grandi famiglie imprenditoriali italiane che nel tempo si sono sgretolate. C’è un filo rosso che lo unisce allo spettacolo?
«Assolutamente. Più che sgretolate, queste famiglie si sono proprio devastate. Basta vedere cosa succede agli Agnelli o ai Benetton. Io denuncio, in un difficilissimo passaggio generazionale, la distruzione di un’economia, di quel capitalismo familiare che una volta prometteva di generare ricchezza per tutti e che ora crea ricchezza solo per sé. Le fabbriche della Fiat chiudono ma i dividendi crescono. Prima la loro ricchezza era un valore sociale, oggi è solo esibizione di avidità. Uno spettacolo indecoroso che segnala un declino evidente».
Quand’è che è iniziato questo declino?
«Sicuramente negli anni ’90, con il boom della tecnologia e della globalizzazione. Sono state malgestite e poi ideologizzate in maniera eccessiva, portando a una serie di disastri che ne sono seguiti».
La sinistra è la responsabile?
«Guardi, non ne faccio una questione politica nel libro né nello spettacolo. Hanno responsabilità sia la destra che la sinistra. Ovviamente nello spettacolo ci sono dei riferimenti che piaceranno di più a un certo tipo di pubblico. Per esempio, parlo di come l’uso che è stato fatto dell’immigrazione, il non difendere le nostre radici culturali sta portando alla distruzione del mondo. Indubbiamente questo è un pensiero che, secondo le categorie tradizionali, è di destra. Però, ripeto, non ne faccio un’accusa politica…»
Ma?
«Beh, è vero che la sinistra era al governo nel mondo e in Italia in quegli anni cruciali. Pensiamo a Bill Clinton in America, a Romano Prodi in Italia. Gente che ha avuto modelli come Bill Gates… E infatti parlerò anche di lui nello spettacolo».
Lei si sente di destra?
«Io vengo da una formazione culturale che fa riferimento ad alcune battaglie che sono tipiche della destra, come quella per l’identità nazionale contro sovrastrutture europee e immigrazione. Ma penso che in questo momento le categorie destra e sinistra siano superate. Per esempio, sa io con chi mi trovo molto d’accordo?».
Con chi?
«Con Marco Rizzo, ex comunista. Se me lo avessero detto vent’anni fa, non ci avrei mai creduto (ride, ndr). Ma oggi, su temi come l’immigrazione, la pace e sulla guerra sono d’accordo con lui e non con la destra. Anche tutti quei miliardi spesi a debito per riarmarsi… Una follia, ma in pochi a destra la pensano come me».
A proposito di riarmo, le piace quest’Europa?
«Le faccio io una domanda: come possiamo fidarci di questa Europa? Ci hanno raccontato che l’Ue era la nostra salvezza, ma mi pare che oggi nelle trattative per la pace in Ucraina sia stata l’unica assente nelle trattative, che solo la Gran Bretagna, fuori dall’Ue, ha trovato un accordo con gli Usa».
Dazi e guerra in Ucraina sono colpa dell’Europa?
«Diciamo pure che Trump e Putin sono cattivi, ma io mi chiedo: siamo sicuri di chi dovrebbe difenderci? Per me, scontiamo una follia europea».
Il progetto comunitario era una follia?
«No, quello non era sbagliato, ma la sua evoluzione negli ultimi anni è stata un disastro. Mi sembrò evidente fin da subito che la costruzione dell’Euro fosse folle e sbagliata. E ora ne paghiamo le conseguenze. Glielo dico chiaramente: Io non mi fido di von der Leyen – o von der Truppen, come la chiamo io - che va a trattare sui dazi per “proteggere” gli interessi italiani e che ci dice che dovremmo riarmarci».
Perché non si fida?
«Rispetto ai dazi, perché abbiamo interessi diversi dalla Germania. Per noi difendere il settore alimentare è fondamentale, per loro no. Sul riarmo, beh, è semplice: ci dice che dobbiamo spendere tutti quei miliardi per la difesa comune ma è evidente che non c’entra niente, perché sono a spese dei singoli Stati, che si indebitano ognuno per conto proprio per riarmarsi ognuno per conto proprio. E poi, si ricorda che per la sanità non si poteva fare debito? Oggi, per le armi, si può».
E la destra si fida di Trump o lo considera un nemico?
«Lo considera uno che fa ciò che ha promesso in campagna elettorale agli americani. Saranno loro a giudicarlo. Che i suoi dazi ci facciano male è indiscutibile, ma io devo pensare a quelli che dovrebbero difendere i miei di interessi. Mi dicono che è l’Europa a difenderci, allora io guardo lì e vedo un’Unione che ha massacrato l’agricoltura e la pesca».
Quando Trump si è insediato, questo governo non lo ha accolto proprio come un nemico…
«Siamo realistici. Trump fa i suoi interessi. Poi sono convinto che l’Italia singolarmente sarebbe in grado di strappare condizioni migliori di quelle che strapperà l’Unione, ammesso che riesca a strappare un accordo. Ma guardi che su Putin è lo stesso discorso: io devo rivolgermi a quelli che mi dovrebbero difendere e non mi sento difeso».
Bisognerebbe fare pace con Putin?
«Bisognava parlare di pace tre anni fa. E invece ci troviamo con i “Volenterosi”, con gente che mostra i muscoli come Macron. Anche in questa vicenda ci hanno raccontato delle balle: tre anni fa si diceva che saremmo stati con Zelensky fino alla vittoria finale. Ma che significa? Vuol dire fino a riconquistare tutti i territori? Ma qualcuno crede che sia possibile? ».
Rimane l’ultimo grande tema del presente: Gaza.
«Io sono sempre stato vicino a Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, ma penso che a questo punto siamo andati oltre ogni limite. Ciò che abbiamo visto mette in crisi questa visione. Ed è difficilissimo da accettare».