Il Vangelo della guerra

23 Giugno 2025

Ci siamo svegliati con i messaggi e le notizie sull’attacco. Si è realizzata così l’ultima profezia di Papa Francesco: «La terza guerra mondiale arriverà a rate». Ma non siamo ancora – per fortuna – nel punto di non ritorno

ROMA. Ci siamo svegliati nel cuore della notte di ieri con i messaggi e le notizie sull’attacco. La prima escalation del nuovo ciclo di guerre è iniziata con i bombardamenti decisi da Donald Trump su tre siti di produzione nucleare. Si è realizzata così l’ultima profezia di Papa Francesco, che ci ha lasciato due mesi prima di vederla realizzata: «La terza guerra mondiale arriverà a rate».

Non siamo ancora – per fortuna – nel punto di non ritorno. Ma è evidente che il rischio che stiamo correndo è enorme. L’attacco deciso da Donald Trump, e la prima reazione della Repubblica Islamica, che annuncia di bloccare lo stretto di Hormuz, sono il potenziale innesco che può coinvolgere i paesi più disparati saltando i confini di adiacenza geografica: una rappresaglia dell’Iran sul territorio iracheno, tanto per fare un esempio, potrebbe colpire militari europei presenti su quel territorio, a partire dal nostro continente. E l’attacco all’Iran chiama in causa direttamente i suoi alleati a partire dall’Iraq e dalla Russia.

Si è arrivati a questo attacco – è il caso di dirlo – in modo surreale. Con il presidente degli Stati Uniti che era entrato nella crisi ponendosi come mediatore, negando un coinvolgimento diretto, ed ha finito per bombardare. Il primo trionfatore di questa escalation, dunque, è inutile dirlo, si chiama Benjamin Netanyahu, l’uomo che è riuscito ad accendere il quinto fronte di guerra di Israele, e a coinvolgere in questa guerra un suo maggiore alleato. L’altro elemento surreale è che Israele si appella ad un accordo sulla non proliferazione nucleare che non riconosce, ma a cui pure vorrebbe che l’Iran fosse vincolato. La crisi esplode a negoziati in corso, e l’azione del premier di Tel Aviv inizia uccidendo il capo dei negoziatori iraniani. Ultima beffa, che ricorda i tanti casus belli tarocchi di questi anni, a partire da quello (armi chimiche) che dopo aver avviato la guerra all’Iraq si è ribaltato caso. Ebbene, Netanyahu ha preso come motivo per il suo attacco un rapporto dell’Agenzia internazionale di controllo sulla proliferazione nucleare, l’Aiea secondo cui – a suo avviso – l’Iran sarebbe stato vicino alla bomba atomica. Ma incredibilmente, il portavoce dell’Aiea, Rafael Grossi, ha negato questa ipotesi in una clamorosa intervista alla Cnn del 18 giugno: «La nostra agenzia non ha nessuna prova che limitano stia costruendo la bomba atomica. E scrivo tutti questo non avendo nessuna simpatia per la repubblica islamica, e avendo scritto chilometri di pezzi (alcuni anche su queste pagine) contro le violazioni dei diritti umani del regime degli Ayatollah. Ma il tema non è il gioco – finto – di schierarsi con i buoni o con i cattivi (in questa storia ci sono solo cattivi, tra gli attori protagonisti), quanto capire con mente lucida dove potrebbe portarci questo reazione a catena, e perché – ancora una volta – il primo prezzo di questa guerra lo pagheranno le vittime civili degli attacchi e i cittadini dell’Occidente.

«In fondo non è successo nulla». Ce lo diranno in tanti, spensierati, matti, o entrambe le cose insieme. Qualcuno, persino qualcuno di coloro che noi ci siamo abituati a considerare persone serie, lo sta già dicendo e proverà a ripetercelo, nelle prossime ore: è tutto a posto, la missione è stata compiuta con il bombardamento dei siti nucleari ordinato da Trump. Ci spiegheranno con le argomentazioni che abbiamo visto che l’Iran e il suo regime se lo meritavano, che la tranquillità di Israele lo richiedeva, ci diranno che da oggi siamo tutti più sicuri di ieri.

L’unica cosa certa è che è vero esattamente il contrario: non è (solo) l’Iran l’obiettivo di questo attacco, non sono (solo) gli Ayatollah, i bersagli di questi razzi. Siamo tutti esposti alla reazione a catena imponderabile delle conseguenze, tutti noi, il mondo civile, tutti quelli che non vogliono una escalation bellica, che da oggi devono sentirsi meno sicuri. E non solo per i rischi, possibili, di una futura “guerra asimmetrica”, di vendette terroristiche, di profonde ferite di odio che i conflitti aperti da Bibi Netanyahu stanno creando in tutto il Medio Oriente. Ma perché ieri è stato infranto definitivamente un fragile equilibrio che era l’ultima eredità della pace di Yalta, il più grande lascito della seconda guerra mondiale. «La terza guerra mondiale a rate» è esattamente questo incredibile tana-libera-tutti: se Putin può prendersi l’Ucraina, se Israele può prendersi l’Iran (e tutto quello che vuole), allora perché la Cina non può prendersi Taiwan, e l’America la Groenlandia, il Canada e magari anche il New Mexico?

Il Vangelo di guerra della nuova ferocia si sostituisce all’equilibrio semi pacifico di Yalta che ha governato il mondo per ottant’anni. Finita l’età delle superpotenze e dell’equilibrio fondato sulla deterrenza inizia un nuovo tempo: quello degli avventurieri, dei giocatori d’azzardo, degli sterminatori. Da ieri l’unica regola riconosciuta sarà la legge del più forte, senza più nessuna parvenza di osservanza di un diritto internazionale. Niente, come la rottura di questo equilibrio è più rischioso per il mondo civile. Il primo dato grottesco riguarda la figura di Donald Trump, che eletto con l’ambizioso progetto di mettere fine a due guerre ne è già riuscito a scatenarne altre due. Il secondo ci conduce a Netanyahu, che raccontandoci di voler evitare una guerra ha appena avviato le cinque che ricordavo (prima dell’Iran a Gaza, in Libano, contro lo Yemen e contro la Siria). Il terzo problema che abbiamo è la grancassa sul riarmo e sulle spese militari, che diventeranno rapidamente l’unico mantra, soprattutto in Occidente, a scapito di ogni investimento civile (l’Europa annuncia questa settimana l’accordo sul 5% di spesa militare). Il quarto effetto collaterale riguarda Gaza (e tutti gli altri conflitti “minori”) che, come sta già accadendo, scompariranno dall’agenda del mondo e dall’obiettivo dell’informazione. Lo sdoganamento della guerra come unico strumento darwiniano di risoluzione delle controversie internazionali non potrà che moltiplicare i conflitti periferici.

L’ultimo interrogativo riguarda il destino dell’Iran. Se tutti gli oppositori del regime degli Ayatollah in questi giorni – a partire dal premio Nobel Shirin Ebadi – ci hanno messo in guardia dalla menzogna apparentemente seducente del “regime change” (far cadere gli ayatollah per instaurare una democrazia) è perché dal crollo di tutti i regimi in questi anni (Libia, Iraq, Afghanistan, Siria, solo per citare alcuni esempi) sono nati soltanto altri regimi, caos, instabilità. L’ultima drammatica conseguenza di questa crisi è già segnata sui tabelloni di tutti i distributori d’Italia e del mondo: era bastata la minaccia della guerra per far esplodere il prezzo del petrolio. Adesso quel contatore inizierà a girare veloce.

L’imbuto del mondo, da domani diventa un punto sulla carta geografica fra terra e mare che gli italiani faticherebbero a collocare in una prova di geografia. Il suo nome, come ricordavo, è stretto di Hormuz. Per questo braccio di mare lungo sessanta chilometri e largo trenta, su cui si affacciano le coste dell’Iran, transita un quarto della produzione mondiale di petrolio. Questo stretto, così decisivo per gli equilibri economici di tutto il pianeta, può diventare il bersaglio di un regime disperato, ferito a morte (ma non ancora morto) e desideroso di vendetta. L’intervento nello stretto non sarebbe una mossa stupefacente, se è vero che il regime degli Houthi ha fatto esattamente lo stesso nel golfo di Suez, costringendo le navi di tutte le compagnie a circumnavigare l’Africa per sfuggire ad una minaccia anche solo potenziale. E ci sono milizie sciite in Iraq, oltre quelle che abbiamo citato nello Yemen. Trump ha iniziato una guerra dicendoci che «è il momento di fare la pace».

Questo ultimo capitolo sembra partorito dalla fantasia distopica di un romanzo di George Orwell. Si tratta di scenari da incubo che possono verificarsi, come non verificarsi. Possono realizzarsi in tutto, o in parte, ma di certo già determinano un nuovo paradigma della guerra, perché questi tre attacchi sull’Iran cambiano le regole del gioco in tutto il mondo: il vaso di Pandora si è rotto.

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