L’intervista a Paolo Crepet: «Siamo idioti isolati dall’intelligenza artificiale. E non dite che è progresso»

Secondo lo psichiatra «un cervellone è nelle nostre vite senza chiedere permesso». E spiega: «È più forte delle debolezze dell’uomo, noi siamo fatti di debolezze»
L’AQUILA. «Stiamo diventando degli idioti isolati». Non ci gira troppo attorno Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista e opinionista italiano, tra gli analisti più attenti dello stato della condizione giovanile, all’indomani del servizio del Centro che analizzava il dibattito sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI) come strumento di supporto psicologico ed emotivo tra i giovanissimi. Uno dei più famosi psichiatri italiani risponde così all’allarme lanciato da specialisti locali e istituzioni che parlano di oltre 70mila giovani abruzzesi tra i 13 e i 18 anni di età che interagiscono quotidianamente con piattaforme chatbot basate su IA, sostituendo anche l’amico in carne e ossa con quello virtuale. «Un cervellone» secondo Crepet, entrato nelle nostre vite «senza chiedere permesso», che «porterà a un’umanità lobotomizzata».
Dottor Crepet, come descrive ciò che sta accadendo con l’intelligenza artificiale?
«Lei sta parlando della più grande economia del pianeta, e quindi l’economia fa proseliti. È come chi ha i pozzi di petrolio e vuole sempre più automobili. Semplice».
Quindi, dobbiamo rassegnarci?
«Siamo fregati, è ovvio che abbiamo già perso».
Non si può più tornare indietro?
«No, impossibile. Non ci sarà mica qualcuno che si illude di vincere questa cosa qua? A lei non hanno mica chiesto il permesso per entrare nel suo cellulare. Ci sono entrati e basta».
Ma per quanto mi riguarda ho solo accettato l’istallazione di un’applicazione...
«Sì, ha accettato oppure ha comprato un nuovo cellulare che ce l’ha già. Ma che cosa cambia?».
Volevo soddisfare una curiosità. Come tanti altri, penso.
«Però non è una scelta che noi facciamo; è una pseudo scelta. Si potrebbe anche non utilizzare ovviamente, ma credo che non se ne giovi nessuno di questa possibilità».
Perché secondo lei?
«Perché facilitano qualsiasi cosa, soprattutto per i ragazzi, ma non solo. Credo che qualsiasi professionista utilizzi oggi, almeno in parte, l’intelligenza artificiale che nasce come facilitazione, motivo per cui è sul mercato, ed una volta che è entrata nel mercato si diffonde. Perché è più forte dell’uomo».
In che senso, scusi?
«È più forte delle debolezze dell’uomo e siccome noi siamo fatti delle nostre debolezze… La debolezza è per esempio, per uno studente, far meno fatica a fare i compiti; anche io forse l’avrei utilizzata se ne avessi avuto la possibilità. Ma dico, per fortuna, non l’ho avuta e sono cresciuto più intelligente di quelli che cresceranno così».
Le nuove generazioni intende? Quelle che nascono con l’intelligenza artificiale?
«Certo, quelli che crescono con questa roba qua son tutti scemi e io spero che i genitori almeno questo l’abbiano capito!».
Vada per i compiti, ma oggi l’AI sostituisce l’amicizia, le relazioni? Come scritto nel servizio del Centro...
«Certo, perché se vuoi essere credibile devi produrre qualche cosa che soddisfi qualsiasi esigenza, non una cosetta. Altrimenti sarebbe come… (esita)».
Utilizzare Google?
«Sì, come cercare su Google. Che è stata un’agevolazione per certi versi, ma anche uno stimolo. Questo non è Google, è un’altra cosa. Non dico che sia peggio o meglio; è proprio un’altra cosa che il mondo non può che accettare e che non può che aumentare. Perché mica questi dicono: ormai abbiamo fatto quello che dovevamo fare, torniamo a casa».
Dove arriveremo?
«Alla sostituzione totale dell’intelligenza umana».
Un mondo di isolati?
«No, di idioti. Isolati sarebbe riduttivo. Il problema è che saremmo idioti, idioti e isolati. Nel senso che non riusciremo a capire il minimo concetto».
E poi?
«E poi niente, è finita... scusi ma io non sono il Papa che deve elargire positività ed è giusto che lo faccia perché è nella condizione e nel ruolo di doverlo fare. Il problema è ben altro dal mio punto di vista».
Quale?
«Allora, io ho una visione ben chiara di queste cose. Non si può sempre continuare a fare come quelli che dicono che c’è il bicchiere mezzo pieno, perché chi lavora su queste cose vuole questo, vuole che ci sia il solito benpensante che dice: però questo è anche un avanzamento».
E non è progresso?
«No, le conoscenze son sempre le stesse, mica genera conoscenza. L’intelligenza artificiale non inventerà il cubismo».
Ma mica abbiamo scoperto tutto ciò che c’era da scoprire?
«Non lo penso affatto. Io non vorrei essere così deludente con la storia, però è una battaglia persa, tra un anno lei non avrà più lavoro».
Ma dottore, potrebbe esserci anche un riscatto per quei popoli che oggi sono più isolati. Non tutto deve essere visto in modo negativo.
«Sì, potrebbe. Qualche riscatto ci sarà sicuramente. È che sono andati anche in mezzo all’Amazzonia a dare i telefonini agli indigeni. Elon Musk fornisce satelliti. Non c’è più una zona libera, forse da noi perché siamo un Paese molto sottosviluppato; forse se vengo da in Abruzzo qualche zona ancora si salva...».
Quindi chi vive nei borghi più remoti potrebbe salvarsi?
«Non hanno idea di che fortuna hanno, però con il satellite durerà poco. Forse un anno. Musk con i satelliti ha scavalcato la burocrazia. Richieste al Comune, gli scavi per i cavi sono ormai Medioevo».
E in tutto ciò il genitore quanta colpa ha?
«Ma il genitore è il primo che se ne giova, perché magari fa il professionista. L’intelligenza artificiale è al posto di tutto. Se lei oggi apre un giornale non ha la certezza che quella notizia sia vera o generata. Non c’è uno scampolo di umanità che sarà privata da questa AI, perché è pervasiva».
Torniamo ai giovani che con le chatbot diventano sempre meno empatici, con episodi di violenza all’ordine del giorno. È riconducibile anche questo al’IA?
«Certo, sono dei robot. I robot mica sono sensibili».
Stiamo diventando dei robot?
«Ma certo. E tra l’altro i robot umani sono molto più lenti e affinché la tecnologia digitale vada avanti deve creare lentezza annullando ogni libero pensiero».
Siamo all’apice della solitudine del Terzo millennio?
«Dipende, ci sono delle controtendenze, sempre. L’altro giorno ho conosciuto un ragazzo di 13 anni e parlando di musica ho scoperto che ama la stessa che amavo io. Quindi non sono tutti rimbecilliti con i trapper».
Quindi una speranza c’è?
«Certo, anche se i trapper fanno migliaia di presenze negli stadi. Ma ci sono anche dei fenomeni in controtendenza, perché quando si estremizza da una parte si crea un vuoto dall’altra e questo vuoto può essere anche riempito con qualcosa che soddisfa esigenze diverse. Per esempio tutta questa musica da battito cardiaco funziona per il 95 per centro dei giovani ma c’è sempre un 5 per centro che dice viva Vivaldi».
Possono le istituzioni, la scuola, le famiglie contribuire in qualche modo a invertire la tendenza?
«Parlarne fa bene. Se un ragazzo vede un padre che legge un libro è ispirazione, un po’ meno se chatta con l’intelligenza artificiale. Ma se continuiamo a usare questo buonismo tecnologico, fatto di “ma, sì” o “però” non arriviamo da nessuna parte».
Un altro grande problema è che dietro queste piattaforme ci sono comunque individui che hanno un pensiero, si rischia di avere una generazione omologata che sulla scia di un comando, potrebbe muoversi in massa?
«Questo è un non nuovo ragionamento che è stato fatto da qualcuno intelligente. E il discorso è semplicissimo: l’intelligenza artificiale, come tutte le avanguardie tecnologiche e digitali, ha bisogno di intelligenza umana, il problema è che se quella artificiale coprirà tutto non permetterà più l’innovazione vera, che è quella prodotta dall’uomo».
Un fatto grave.
«Certo, perché l’intelligenza artificiale può fare tutto al meglio di ciò che c’è, ma non può inventare una cosa che non c’è. Lo può fare per assonanza ma le rivoluzioni non sono mai state assonanti».
Quindi il rischio è che poche menti governeranno il mondo?
«Già lo fanno. Le pare che in America ci sia qualcosa che non sia la tecnocrazia?».
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