Meloni e la svolta di Trump: la missione Usa non è annullata

Per l’Italia la partita dei dazi rimane aperta, Giorgia è ancora più convinta di andare a Washington Giornata di critiche da parte di Parigi. Ma Foti ribatte ai francesi: «Non ci sono Stati di serie A e B»
ROMA. L'attesa di una svolta c'era, ed è andata molto oltre le migliori previsioni: 90 giorni di sospensione dei dazi non cambiano, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, la portata della missione di Giorgia Meloni alla Casa Bianca. Che anzi, ancora più convinta, a Donald Trump chiederà di sedersi a parlare con l'Europa, con l'obiettivo che ora appare decisamente meno irrealizzabile, di creare quella grande area di libero scambio tra le due sponde dell'Atlantico, con la formula «zero per zero» dazi.
La giornata si apre tra lo sconcerto e l'imbarazzo per le parole del presidente americano, che accendono le opposizioni (la premier «abbassa la testa» e va lì «con il cappello in mano»): davanti a quell'espressione - « i leader pronti a baciarmi il c...», che anche Matteo Salvini indica come «immagine abbastanza disgustosa» - nella maggioranza c'è chi sorride, chi non risponde, chi glissa come Antonio Tajani («other question?»). Un tema che probabilmente i due vicepremier hanno affrontato anche con Meloni, in un confronto a tre poco prima del Consiglio dei ministri. La presa di posizione poco elegante del tycoon, assicura però il ministro degli Esteri, non cambia i programmi della premier che andrà a Washington «con la schiena dritta» a proporre di negoziare «sostenendo le posizioni europee».
Una precisazione più che dovuta, per il vicepremier, dopo che il ministro francese dell'Industria Marc Ferracci aveva dato voce alla diffidenza di alcune cancellerie nei confronti del viaggi della leader italiana. «Se cominciamo ad avere discussioni bilaterali», il ragionamento di Ferracci, l'unità europea «rischia di spezzarsi». Parole che fanno scattare i ministri a difesa dell'azione di Roma: «Rispetto e reciprocità, cari amici francesi. Non ci sono nazioni di serie A e nazioni di serie B», dice subito il titolare degli Affari europei Tommaso Foti, chiedendosi come mai «quando il presidente Macron si reca a Washington tutto sembra andare bene, mentre quando è la Meloni ad andare invece no». Anche il titolare della Farnesina ricorda i diversi incontri del capo dell'Eliseo, convinto che i vicini d'Oltralpe «non abbiano capito lo spirito di questa missione». E nemmeno che «l'Unione europea è ben contenta che l'Italia vada a parlare per sostenere le posizioni europee». Una reazione che induce il governo francese a fare marcia indietro, con la portavoce Sophie Primas che assicura come non ci siano «preoccupazioni» per la visita italiana anche perché «tutte le voci che permettono un dialogo con gli Stati Uniti sono benvenute».
Peraltro anche Politico, pur osservando che con Trump nemmeno i rapporti più stretti garantiscono risultati, vede in Meloni un «ottimo emissario». Certo, osserva il sito punto di riferimento della politica internazionale, il test è «difficile» e «il suo buon rapporto con l'amministrazione Trump conterà poco a livello nazionale se non riuscirà ad ammorbidire la sua posizione sui dazi, che ha già ammesso danneggeranno l'economia italiana». Ma ora, con la frenata del presidente americano, lo scenario si semplifica, si ragiona ai piani alti del governo, dove da qualche giorno sono sotto osservazione le proteste che lo stesso presidente americano sta fronteggiando in patria. La notizia rimbalza da Washington mentre Meloni sta andando al Quirinale per la serata di gala in onore dei reali britannici. E chi riesce a raggiungerla osserva, con un certo sollievo, che ora «non si va più con il coltello alla gola».