Spese militari al 5% del Pil, la Nato prepara la guerra

27 Giugno 2025

Il vertice dell’Aia costringerà l’Italia a investire sette miliardi in più ogni anno. Meloni rassicura: «Non sarà tolto neanche un euro dalle tutele per gli italiani»

PESCARA. Il vertice Nato appena conclusosi all’Aia ci consegna un numero chiaro e simbolico: cinque. Come il 5% di quota Pil che i Paesi dell’Alleanza atlantica, Italia compresa, dovranno destinare entro il 2035 alla difesa. Una cifra storica, mai vista prima per l’Alleanza atlantica, che rappresenta più del doppio rispetto al target attuale del 2%. Finora il governo ha temporeggiato, grazie agli artifizi contabili del ministro Giorgetti, che hanno gonfiato il tasso di spesa militare senza effettivamente mettere mano al portafoglio.

Tuttavia il ciclone Donald Trump sembra imporre un cambio di passo. Il presidente americano ha firmato il comunicato del vertice Nato che riconosce, testualmente, «la minaccia di lungo periodo posta dalla Russia alla sicurezza euro-atlantica». La spesa da sostenere nei prossimi due lustri si divide in due grandi categorie. La prima, pari al 3,5% del Pil, riguarda la spesa militare diretta: acquisti di armi, mezzi, munizioni, stipendi e pensioni del personale militare, missioni internazionali e sostegno militare all’Ucraina. La seconda, l’1,5%, coprirà invece investimenti con doppia valenza, civile e militare: sicurezza informatica, infrastrutture strategiche, mobilità militare, reti energetiche e telecomunicazioni, ma anche innovazione e sostegno all’industria della difesa.

Abbiamo raggiunto al telefono Pietro Batacchi, direttore di Rid (Rivista italiana difesa): «La Nato è prima di tutto un’organizzazione politica che deve sempre fare una sintesi tra le esigenze dei vari paesi», chiarisce il direttore «la flessibilità prevista dagli accordi consente ai Paesi membri di procedere con prudenza». Nel piano presentato al summit inoltre è previsto un controllo di metà periodo: «Nel 2029 ci sarà una revisione intermedia, utile per valutare il quadro delle minacce», continua Batacchi, «se il contesto internazionale dovesse migliorare, gli obiettivi di spesa potrebbero essere rivisti al ribasso».

Come riporta Milex (l’Osservatorio sulle spese militari italiane) per il nostro Paese gli impegni assunti durante il vertice Nato significano dover reperire almeno tra i 6 e i 7 miliardi in più ogni anno, da destinare alle forze armate e alle opere infrastrutturali con ricadute sulla società civile. Dove trovare questi soldi senza dover tagliare su sanità, scuola e welfare state? La questione non è chiara, ma Meloni punta a ottenere uno sconto sui dazi e rassicura «non sarà tolto neanche un euro dalle altre priorità del governo a difesa e a tutela degli italiani». Le parole di Meloni sembrano trovare parziale conferma in un report dell’Osservatorio Ocpi (Università Cattolica).

Lo studio prevede che nel 2026 la spesa militare rimarrà stabilmente al di sotto dei due punti percentuali di prodotto interno lordo: 1,58% nel 2016 e 1,61% nel 2027. Valori che restano comunque ben al di sotto dei target Nato ma sono in linea con una traiettoria di crescita verso l’accordo dei 3,5?%/1,5% del Pil entro il 2035. A fare da gran cerimoniere al riarmo generale è l’olandese Mark Rutte, segretario generale della Nato, che incassa il sì di tutti i membri, eccezion fatta per la Spagna del socialista Sanchez. Il governo italiano, come spesso accade, sembra aver deciso di voler fare buon viso a cattivo gioco, votando a favore ma confidando in tempi migliori e in qualche margine di manovra.

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