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11 dicembre

Oggi, ma nel 1901, a Roma, il Giornale d’Italia, diretto da Alberto Bergamini, dedicava l’intera pagina numero 3 del quotidiano, che ne aveva abitualmente 4, alla prima rappresentazione della tragedia Francesca da Rimini, di Gabriele d’Annunzio, avvenuta la sera del 9 dicembre precedente, nel teatro capitolino Domenico Costanzi, con la partecipazione di Eleonora Duse, nel ruolo di Francesca da Polenta, e di Gustavo Salvini, in quello di Paolo Malatesta.

Dalla narrazione di un evento eccezionale, in versi, in 5 atti, ispirato al 5° canto dell’Inferno della Divina commedia di Dante Alighieri, nasceva la tradizione giornalistica tricolore della terza pagina, quella che sarà riservata alla cultura. Ovviamente articolata in varie sfaccettature e non solo in modo monotematico come accadeva per quella prova d’esordio. Sarà poi, nel 1905, il Corriere della Sera di Milano, con Luigi Albertini quale gerente responsabile, a sviluppare l’idea lanciata da Bergamini: spostando l’articolo letterario a pagina 3 e adottando l’elzeviro, il carattere utilizzato nella stampa dei libri di poesia, particolarmente gradito dai lettori colti. Seguirà La Stampa, di Torino, nel 1907, che nel 1989 sarà anche la prima testata ad abbandonare la terza pagina. Poi, nel 1909, sarà la volta del Secolo, organo d’informazione con redazione principale nel capoluogo lombardo. Il Giornale d’Italia era stato fondato, il 16 novembre precedente, da Sidney Sonnino ed Antonio Salandra, esponenti della corrente di minoranza della Destra storica, che avevano pensato di dare vita al quotidiano come organo di un futuro partito alternativo alla preponderanza parlamentare del liberale Giovanni Giolitti. Bergamini, che prima d’imbarcarsi in quell’avventura di carta e inchiostro proveniva dall’ufficio romano di corrispondenza del Corsera, aveva impegnato 4 giornalisti per comporre l’ampio spazio (nella foto, particolare) concesso al futuro Vate.

Nel dettaglio Diego Angeli si era occupato dell'ambientazione scenografica, opera di Odoardo Antonio Rovescalli e di Adolfo De Carolis. Nicola D’Altri della critica musicale, curata dal maestro Antonio Scontrino. Domenico Oliva aveva vergato la recensione. Eugenio Checchi, detto “Tom”, era stato affidato il compito di scrivere la cronaca mondana legata all’evento. La tragedia Francesca da Rimini, “poema di sangue e di lussuria”, stando alla definizione dello stesso autore, era stata pensata dal Gabriel nazionale, che nella rappresentazione avvenuta nella Città eterna aveva avuto anche il ruolo di regista, proprio per la sua amata, la divina Duse. Quest’ultima aveva anche finanziato, con 400mila lire, l’intrapresa e la sfarzosa messa in scena, che era stata assegnata, non a caso, alla sua compagnia teatrale.