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19 dicembre

Oggi, ma nel 1912, a Roma, l’Erario del regno d’Italia riusciva ad acquistare, per una cifra che non verrà precisata, il dipinto intitolato “Marco Polo alla corte del grande Khan dei Tartari” (nella foto, particolare), realizzato da Tranquillo Cremona, che era stato ritenuto perduto dopo la morte del pittore pavese. L’opera era ad olio su tela, di 142x254 centimetri, risalente al 1863. Il quadro verrà destinato, dal IV governo presieduto dal liberale Giovanni Giolitti, alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Dopo la ristrutturazione del 2016 sarà esposto nella sala dell’Ercole.

Cremona, classe 1837, passato a miglior vita, il 10 giugno 1878, per avvelenamento da piombo, causato dal contatto prolungato con i colori che utilizzava, avendo l’abitudine di sublimare i suoi dipinti sfumando con le dita, soprattutto il bianco di piombo, la biacca, ritenuto il più tossico per l’alta concentrazione nel pigmento di carbonato basico di piombo. Prodotto altamente pericoloso anche perché, fino al XIX secolo, non c’erano molte alternative, insieme al bianco di San Giovanni, composto da carbonato di calcio e per questo meno pregiato, era praticamente l’unico disponibile in grado di garantire una resa di alto livello. Il bianco di zinco, proveniente dai vapori dello zinco bruciato ad elevata temperatura, era arrivato in commercio solo nel 1840 e veniva ancora visto con titubanza da parte degli artisti della vecchia scuola, perché pallido e tendente al giallo, e il bianco di titanio, ottenuto dal biossido di titanio, farà la sua comparsa nel 1930.

Cremona aveva immaginato il viaggio di Polo in estremo oriente, verosimilmente compiuto dal 1271 al 1295, in modo spettacolare e quel lavoro figurativo era considerato uno dei più importanti della sua produzione artistica. Di gran pregio, insieme al ritratto di Camillo Benso conte di Cavour, ritenuto il più famoso, datato 1850, all’Edera, del 1878, ultimo in senso cronologico prima della dipartita, reputato il più popolare e carico di significato, e al ritratto di Primo Levi, evocativo, che verrà attribuito al suo pennello nel 1880, postumo. Levi, di Ferrara, del 1853, omonimo dell’autore del romanzo “Se questo è un uomo”, del 1947, che invece era torinese e del 1919, era amico personale di Cremona. Levi era, tra l’altro, il giornalista che nel libro, del 1882, intitolato “Abruzzo forte e gentile. Impressioni d’occhio e di cuore”, apparso per i tipi dello Stabilimento tipografico italiano, di Roma, aveva dato alla regione Abruzzo la definizione destinata a resistere nel tempo e a diventare iconica.

Nell’operazione di grande recupero del quadro di Cremona dedicato all’avventura di Polo non era affatto estraneo Levi, che, nel 1907, per i servigi giornalistici resi a partire dall’era crispina, era stato nominato console generale di prima classe proprio dallo statista di Dronero, suscitando non poche polemiche in ambito politico nazionale.