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2 marzo

Oggi, ma nel 1904, a Roma, alla Camera dei deputati, veniva votata e approvata, con 115 voti favorevoli e 95 contrari, la proposta di legge per consentire alle donne laureate in giurisprudenza l'ingresso nella professione di avvocato, in Italia.

Nella seduta del giorno precedente, 1 marzo, aveva preso la parola il ministro guardasigilli, Scipione Ronchetti, anch’egli avvocato, che credeva che la legislazione vigente non vietasse l’ammissione nell'avvocatura al gentil sesso. Ronchetti aveva citato l’articolo 24 dello Statuto e l’articolo 1 del Codice civile. E aveva pure sottolineato come la proposta avanzata dal deputato Ettore Socci, di Pisa, classe 1846, giornalista, andasse approvata. Il ministro di Giustizia del secondo governo guidato da Giovanni Giolitti, originario di Porto Valtravaglia, in quel di Varese, del 1846, aveva concluso invitando i deputati a tentare l’esperimento. Era, infatti, convinto che i costumi avrebbero scongiurato la preoccupazione di trovarsi davanti ad una legione di legulei in gonnella che prendessero d’assalto i Tribunali. E aveva ricordato anche che, nei paesi dove da tempo esistesse tale libero esercizio della avvocatura al femminile, la loro presenza fosse comunque modesta. Il testo approvato veniva quindi trasmesso al Senato dove però si arenerà a causa della fine della legislatura.

A Presiedere la Camera dei deputati vi era l’avvocato Tommaso Villa, già componente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino, che era in carica quando quello stesso Ordine aveva momentaneamente e fino alla estromissione giudiziaria ammesso tra le sua fila Lidia Poët. Dal caso di quest'ultima, di Perrero, in quel di Torino, del 1855, era nato un affare di portata nazionale. Dopo un primo sì, infatti, nel 1884, la Corte di cassazione di Torino aveva sentenziato come la donna non potesse esercitare l’avvocatura. Nel 1898 era stato Socci, ex garibaldino, esponente radicale, convinto repubblicano, spavaldo patrocinatore di tutte le rivendicazioni femminili in Parlamento, soprattutto uno dei pochi non avvocati presenti in aula, a sollevare per la prima volta la questione dell’ingresso delle donne nell'avvocatura. Socci aveva chiaramente sostenuto di ritenere una barbarie il distinguere ancora fra uomini e donne nell'indossare la toga da avvocato. Ma il suo intervento era stato deriso dalla Camera. Il 12 dicembre 1916 verrà presentata la decisiva proposta del ministro di Giustizia Sacchi.

La legge verrà approvata il 17 luglio 1919, con il numero 1176, che non solo abolirà l'autorizzazione maritale, abrogando tutte le norme del Codice civile, di commercio, di procedura civile che limitavano la piena capacità di agire della donna, ma, grazie all’articolo 7, aprirà alle lady le porte del foro specificando che: "Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche che attengono alla difesa dello Stato". La prima donna avvocato, secondo il nuovo corso, sarà Elisa Comani (nella foto, particolare), iscritta all'albo degli avvocati di Ancona, che giurerà il 27 agosto 1919.