21 agosto

20 Agosto 2021

Oggi, ma nel 1862, a Verona, nasceva Emilio Salgari (nella foto, particolare di una caricatura), che verrà ricordato soprattutto come il padre di Sandokan, ovvero “La tigre di Mompracem”, e del ciclo dei pirati della Malesia.

Crescerà nella frazione Tomenighe di sotto di Negrar, in Valpolicella. Poi studierà a Venezia, nel regio Istituto nautico Paolo Sarpi, ma senza mai riuscire a diplomarsi capitano di lungo corso, come avrebbe desiderato e soprattutto come farà credere, vantandosi ripetutamente della sua competenza marinaresca. Così come favoleggerà di essere venuto alla luce su un brigantino in naufragio nel Mar dei Caraibi e di aver emesso i primi vagiti tra i fiotti e le onde. Ma questi dettagli, volutamente esagerati, saranno elementi narrativi del più grande romanzo che "La tigre della Magnesia" -come verrà soprannominato per i continui bruciori di stomaco, causati dalle cento sigarette fumate al giorno accompagnate dalle quattro bottiglie di Marsala- riuscirà a scrivere: la sua vita.

Dai primi testi, pubblicati in appendice sul quotidiano veronese “L’Arena”, il 16 ottobre 1883, proprio su una tigre malese scappata da un circo di Milano e in arrivo nella città scaligera, testata sulla quale esordirà come giornalista, diverrà un forzato della penna. Sarà costretto a consegnare tre libri l'anno, da trecento pagine l’uno, al ritmo di tre facciate al giorno, per onorare i rigidi contratti editoriali. Essendo perennemente divorato dai debiti doveva macinare cartelle su cartelle. Ma questo ritmo da forsennato, insieme ad una vena creativa fuori dal comune, gli permetteranno di lasciare ai posteri un patrimonio di duecento opere. Volumi con storie, dal registro linguistico unico, che contribuiranno a cambiare radicalmente la letteratura di viaggio, a cavaliere tra la fine dell‘800 e l’inizio del ‘900 tricolore, e quella per ragazzi. Come riconoscerà anche la regina Margherita di Savoia, nominandolo, il 3 aprile 1897, cavaliere della corona, il suo contributo all'educazione dei giovani sarà ineguagliabile. In un tempo in cui i tomi di avventure erano il rimedio alla profonda povertà delle famiglie e alla estrema miseria culturale della vita quotidiana. Salgari raccontava luoghi lontanissimi, spesso poco noti, il più delle volte esotici, con ricchezza di dettagli senza precedenti, senza essersi mai mosso da Torino, dove vivrà dal 1900. Lui, che in vita sua prenderà parte una sola volta ad una breve navigazione, nell’Adriatico, da studente, ma che poi sarà costretto ad interrompere a metà tragitto, per mancanza di soldi, sosterrà che scrivere fosse viaggiare senza la seccatura dei bagagli. Ogni giorno, infagottato nel suo impermeabile giallo che indossava anche in estate, saliva sul tram per raggiungere la biblioteca civica e divorare per ore atlanti e dizionari, necessari per arricchire maniacalmente le sue descrizioni. E la città sabauda sarà anche quella del suo iconico suicidio. Che avverrà, nella valle di San Martino, sopra la chiesetta di Madonna del Pilone, il 25 aprile 1911. La farà finita squarciandosi la gola e sventrandosi con il rasoio da barba dopo aver fatto un rituale simile al Seppuku nipponico.

Tra le lettere vergate prima di compiere l’estremo gesto, rimarrà toccante quella indirizzata ai suoi editori: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna». Ma anche il corteo dietro la bara, al parco del Valentino, passerà in sordina. Perché in quel giorno il capoluogo piemontese ospiterà l'esposizione nazionale, organizzata per onorare il 50° anniversario della unificazione d'Italia. Il riconoscimento alla sua genialità letteraria sarà prevalentemente postumo. Anche la sua famiglia, con la moglie Ida Peruzzi, affetta da problemi mentali dal 1903 e degente in manicomio dal 1910, e i figli Omar, Fatima, Nadir, Romero, abbandonati a loro stessi, sarà funestata da altri lutti.