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24 MARZO

Oggi, ma nel 1929, in tutta Italia, si teneva il primo plebiscito nazionale fascista per la Camera dei deputati, per la XXVIII legislatura. I parlamentari del ramo minore non erano più scelti dal popolo, ma dal Gran consiglio del fascismo e gli italiani era chiamati solo a vidimare, approvando col “Si” o respingendo col “No”, la selezione dei 400 iscritti nelle liste. Era una innovazione senza precedenti nella storia elettorale italica, dopo le storiche consultazioni del 6 aprile 1924, svolte con la legge elettorale messa a punto dall’abruzzese Giacomo Acerbo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri. Veniva scalzata la sovranità popolare lasciando spazio a quella dello Stato.

Dietro il progetto c’era il guardasigilli del regime Alfredo Rocco, esecutore dei voleri elettorali del Duce, desideroso di rimarcare la svolta totalitaria. Il Gran consiglio del fascismo aveva, tramite i suoi componenti, pescato tra i 1000 candidati portati all’attenzione. Nel dettaglio, 800 erano stati proposti da sindacati riconosciuti, 200 da altri enti ed associazioni. L'elettore riceveva due schede, di uguali dimensioni, bianche all'esterno, con dentro scritto: "Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran consiglio nazionale del fascismo?". Il foglio con il “Si” aveva all'interno due bande, una verde e l’altra rossa, che con la fascia centrale candida formavano la bandiera italiana. Quella con il “No” era tutta bianca. Il voto era solo formalmente segreto. L’afflusso alle urne era dell’89,86 per cento, su scala nazionale. I “Si” ricevevano il 98,34 per cento, corrispondenti a 8milioni 517mila 838 preferenze, e i “No” l’1,57, pari a 135mila 773 voti. Le scede bianche o nulle erano 8mila 209.

L’obiettivo di Benito Mussolini, come ampiamente ricordato durante la campagna plebiscitaria (nella foto, particolare, la facciata di Palazzo Braschi, a Roma, sede della Federazione fascista capitolina, il giorno prima delle elezioni, il 23 aprile 1929), era raggiungere o comunque avvicinarsi il più possibile a quota 100 per 100. Gli iscritti nelle liste elettorali per  il comparto Abruzzi e Molise erano 355mila 989. Tra gli eletti figuravano 201 nuovi deputati, 197 uscenti che venivano riconfermati, 2 che avevano già ricoperto la carica in precedenti legislature, la XXIV e la XXVI. Gli italiani venivano prelevati dalle loro abitazioni e accompagnati forzatamente alle urne dai militi in camicia nera. Nelle zone più strategiche il tragitto verso le sedi attrezzate diventava una vera e propria via crucis: con violenze di ogni sorta perpetrate dagli squadristi. Molti lavoratori dipendenti erano stati intimiditi con la minaccia di licenziamento in caso di scelta del “No”. Sul confine orientale la situazione degenerava ad ogni diverbio, data la tensione già al culmine per questioni etniche.

Gli elettori erano stati avvisati: avrebbero dovuto mettersi in tasca la scheda scartata, quella del "No", e consegnarla, come prova d'uscita, ai fascisti armati appostati all'ingresso dei seggi. Se fossero stati trovati con la scheda del "Sì" avrebbero pagato fisicamente. Se questo non fosse stato sufficiente, gli scrutinatori, nel controllare se la scheda fosse stata accuratamente piegata, potevano distinguere i "Si" e i "No" guardando in controluce, proprio per la presenza del tricolore. Come denunciato dal quotidiano socialista l’Avanti, nell’edizione clandestina, stampata a Parigi, del 31 marzo successivo. Il plebiscito si ripeterà, il 25 marzo 1934, per l'approvazione dei deputati della XXIX legislatura. Il 23 marzo 1939, per la XXX legislatura, con l’introduzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, non serviranno né elezioni né plebisciti: i consiglieri nazionali saranno nominati direttamente.