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4 maggio

Oggi, ma nel 1944, a Casteldilago, frazione di Arrone, in provincia di Terni, veniva assassinato, da una squadra composta da 16 partigiani della brigata garibaldina “Antonio Gramsci”, il sindacalista fascista di stampo mazziniano Maceo Carloni. Aveva 45 anni, era originario di Terni, svolgeva il delicato ruolo di commissario di fabbrica della Terni acciai in un contesto nel quale la realtà siderurgica era fondamentale per la sopravvivenza.

Secondo i sicari era reo di fiancheggiamento al Partito fascista repubblicano e quindi schierato con i tedeschi, anche se ufficialmente non risultava la sua adesione alla Repubblica di Salò. Dato che verrà confermato anche durante il tortuoso iter processuale nei confronti del gruppo di fuoco. Carloni (nella foto, particolare, in tuta blu da metalmeccanico) era stato nominato commissario di fabbrica della Terni acciai l’anno precedente, 1943, ma dal 1922 era attivo quale operaio esponente di spicco del sindacato in orbace dei lavoratori dell’industria, con particolare riferimento proprio all’acciaieria ternana.

Durante il suo più che ventennale mandato da delegato delle maestranze si era occupato anche della tutela occupazionale delle donne, dei minori, degli ex detenuti, dei disabili e degli ex confinati antifascisti. E questo lo aveva fatto benvolere dalla popolazione locale, che reputava la sua militanza nel Pnf non ortodossa, ma piuttosto come un modo necessario per poter tutelare i diritti dei salariati.

Evidentemente però il suo impegno in favore degli altri non era bastato a metterlo al riparo da feroci ritorsioni comuniste. Carloni era iscritto al Partito nazionale fascista dal 1932, ovvero da dieci anni dopo aver iniziato l’attività sindacale. Gli esecutori materiali del controverso delitto, rientrante nella cosiddetta altra faccia della resistenza tricolore, ovvero quella meno conosciuta dei partigiani aderenti al Pci che dopo l’8 settembre del 1943 avevano preso a fucilare i repubblichini, erano guidati da Mario Filipponi, operaio e pregiudicato di Piediluco di Terni, classe 1924.

Con lui c’erano: Alfredo Filipponi, Riziero Rossi, Aroldo Procoli, Egisto Bartolucci, Vasco Gigli, Riccardo Conti, Armando Fossatelli, Bruno Zenoni, Enzo Cerroni, Sante Floridi Marini, Dante Bartolini, Martino Migozzi, Mario Sabatini, Emilio La Bella, Innocenzo Bonanni. Riusciranno a farla franca, beneficiando dell’amnistia voluta dal ministro comunista di Grazia e giustizia Palmiro Togliatti, dal 21 giugno 1945 all’1 luglio 1946, che entrerà in vigore col decreto presidenziale 22 giugno 1946, numero 4. La vittima era stata prelevata nella notte dal casale della Valnerina dove si era rifugiata con la moglie e i tre figli, Stelvio, Enrico e Paolo, per sfuggire ai bombardamenti aerei angloamericani. Proprio la posizione appartata aveva favorito l’esecuzione. Il 13 giugno 1944 i 200 aderenti alla brigata “Gramsci” parteciperanno alla liberazione di Terni dai nazifascisti. La vicenda della soppressione di Carloni sarà analizzata nel saggio di Stefano Fabei “Fascismo d’acciaio. Maceo Carloni e il sindacalismo a Terni 1922-1944”, che sarà pubblicato dalla casa editrice Mursia, di Milano, nel 2013.