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4 ottobre

Oggi, ma nel 1943, a Baia Limione di Porto Edda, in Kosovo, veniva fucilato dai tedeschi della Wehrmacht il generale di brigata Ernesto Chiminello, comandante della divisione numero 151 di fanteria “Perugia” del regio esercito. Freddato (nella foto, particolare, il momento prima e quello subito dopo la raffica letale) insieme al maggiore Sergio Bernardelli, capo di Stato maggiore della divisione, dopo la condanna a morte da parte dell’improvvisato tribunale di guerra nazista presieduto dal maggiore Siegfried Dodel. Nello stesso giorno, a Saranda, verranno giustiziati anche 118 tra ufficiali e sottufficiali della “Perugia”. I cadaveri venivano gettati in mare zavorrati con pietre legate alle gambe. La scarica di piombo per i componenti della divisione da occupazione verrà replicata il giorno dopo, 5 ottobre, e costerà la vita ad altri 32 ufficiali.

La “Perugia”, costituita proprio a Perugia, il 25 agosto 1941, che aveva dislocazione ad Argirocastro, nell’Albania del sud, fino all’armistizio dell’8 settembre di quel 1943, verrà ufficialmente sciolta il 7 ottobre successivo, dopo aver preso parte all’invasione della Jugoslavia, all’occupazione del Montenegro, alla presa dell’Albania. Era inquadrata nel IV corpo d’armata del generale Carlo Spatocco, di Chieti, del 1883, che operava in seno alla armata numero 9 del generale Renzo Dalmazzo, di Torino, del 1886.

Chiminiello, originario di Pizzo Calabro, classe 1890, già alla testa della divisione numero 33 “Acqui”, di stanza a Cefalonia, quella che era stata dissolta dalla mattanza germanica, del 23-28 settembre precedente, nella maggiore delle isole Ionie, pagava con la vita la sua opposizione alla resa e alla consegna delle armi verso gli uomini con la croce uncinata. Saranno i componenti superstiti della “Perugia” che, insieme a quelli di altre unità di fanteria tricolori disperse, la numero 41 “Firenze” e la 53 “Arezzo”, formeranno i 170 armati del battaglione “Antonio Gramsci”, che verrà trascinato dal sergente Terzilio Cardinali, futura medaglia d’oro al valor militare. Sarà un'unità profondamente politicizzata, che prenderà parte alla difesa di Berat e ad altre rischiose operazioni contro i nazisti realizzate mediante sabotaggi ed azioni di guerriglia.

Verrà poi trasformato in brigata e poi in divisione. Sarà elemento di spicco nella liberazione di Tirana e, il 28 novembre 1944, avrà l’onore di sfilare al fianco dei partigiani albanesi, legati al Partito del lavoro d’Albania, guidati da Enver Hoxa, futuro capo del governo del Paese delle aquile dal 22 ottobre 1944. Ma non solo: gli verrà permesso il rientro, in armi, nel Belpaese, operazione non semplice che verrà messa a segno grazie all'interessamento del sottosegretario alla Difesa, il comunista Mario Palermo e verrà considerato privilegio raro per soldati già appartenenti ad esercito invasore. Per la sua tragica vicenda, ma anche per il modo in cui saprà riprendersi e fornire un prezioso contributo alla cacciata degli uomini di Adolf Hitler, la “Perugia” diverrà anche uno dei simboli onorati dall’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. La vicenda verrà raccontata nel volume intitolato "La divisione “Perugia”. Dalla tragedia all’oblio. Albania 8 settembre - 3 ottobre 1943", scritto da Massimo Coltrinari e Paolo Colombo, che verrà pubblicato da Nuova cultura, di Roma, nel 2009.