L'Aquila, l'umiltà dimenticata

Ci sono notizie che ci riportano alla realtà e ci interrogano sulle nostre capacità di distinguere fra le cose che contano veramente e le chiacchiere che inondano ogni giorno le nostre vite attraverso i media. La morte di un ragazzo di 15 anni in un incidente sulle Cinquemiglia è di quelle che lasciano senza fiato. Ti danno il senso dell’impotenza, dell’assurdità di ciò che avviene ogni giorno in ogni angolo del mondo, ti pongono migliaia di interrogativi a cui non c’è risposta. Quella giovane vita spezzata diventa per un giorno o due al massimo il titolo dei giornali, poi tutto passa, si volta pagina e magari  ricominciamo a inseguire i politicanti locali sempre pronti a beccarsi per alimentare il loro ego e fregarsene del resto.

 Per i genitori di quel ragazzo, la vita non sarà più quella di prima e il tempo a poco servirà per addolcire un dolore senza confini.

In questi giorni il capoluogo d’Abruzzo è al centro dell’attenzione mediatica nazionale con articoli che fanno di tutta l'erba un fascio. Eppure di fronte  a tutto ciò invece di fermarsi un attimo e chiedersi come mai si è giunti a tutto questo, ci si rimpalla come al solito le responsabilità e si grida al complotto. Certo, sull’Aquila ci sono grossi interessi in ballo, ma non è arroccandosi che si può sperare di recuperare l’immagine di una città che non vuole rinunciare al suo futuro.

 Se si ricominciasse da capo, tornando alla notte del sei aprile 2009, pensando  per un attimo a chi quella notte se ne è andato per sempre, a quel loro sacrificio tragico e assurdo allo stesso tempo,  torneremo forse con i piedi per terra consapevoli che i destini di ognuno di noi sono poca cosa. Questa è una città che deve tornare umile, aprirsi, dialogare, confrontarsi. Anche nel nome di chi non può più farlo.