TURNO DI NOTTE

Noi prigionieri delle cattive notizie

I pazienti guariti dal covid 19 in Italia erano fino a ieri 103.031, con un incremento 4.008 rispetto a venerdì. I nuovi casi di contagio erano, sempre ieri, 1.083, un numero mai così basso dal 10 marzo. Diminuiscono anche, ormai da settimane, i ricoverati in terapia intensiva: ieri erano 1.034, 134 in meno rispetto a venerdì. Se a questi numeri aggiungiamo le previsioni di una progressiva, diminuita forza del coronavirus formulate da medici come Massimo Clementi, direttore del laboratorio di virologia del San Raffaele di Milano, il quadro dell’epidemia dovrebbe incoraggiarci a essere un po’ ottimisti. E invece?

Invece non è così per una buona fetta di italiani. L’idea che le cose possano migliorare è difficile da digerire. A impedirci di guardare con speranza al futuro sono di sicuro i trascorsi due mesi di reclusione dal mondo. Ma c’è anche un’abitudine alle cattive notizie più antica, che nasce dall’interminabile crisi economica iniziata nel 2008.

Siamo figli e nipoti di chi, appena 50 anni fa, dava l’assalto al cielo con missioni spaziali e insperati progressi della scienza, ma non riusciamo ad arrenderci alla speranza. E accettare, per esempio, che il mondo possa essere qualcosa di diverso da una ingannevole trappola destinata, prima o poi, a stritolarci.

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