Accusato di mandare i pazienti nella parafarmacia del figlio, medico “salvato” dall’abolizione dell’abuso d’ufficio

L’assoluzione dell’uomo è arrivata perché «il reato non è più previsto dalla legge». Ecco tutti i dettagli
ORTONA. Un colpo di spugna. Non del giudice, ma del legislatore. Un’intera indagine, un castello accusatorio costruito su presunti favoritismi familiari e conflitti d’interesse nella sanità pubblica, crolla prima ancora di arrivare a una sentenza di merito. È la parabola giudiziaria di un dirigente medico di Ortona, oggi 75enne, e di suo figlio, titolare di una parafarmacia. Entrambi erano imputati per abuso d’ufficio. Entrambi sono stati assolti dal tribunale di Chieti, presieduto da Guido Campli. L’assoluzione, però, almeno per l’abuso d’ufficio, non arriva perché il fatto non sussiste, o per non averlo commesso. Arriva per una motivazione tecnica che pesa come un macigno sulla vicenda: «Il reato non è più previsto dalla legge». La recente riforma voluta dal ministro Carlo Nordio, che ha cancellato la fattispecie dell’abuso d’ufficio per come era contestata, ha di fatto neutralizzato l’intero processo su quel punto, salvando padre e figlio.
L’inchiesta era partita anni prima. Il pubblico ministero Marika Ponziani, nel maggio 2018, aveva chiesto il rinvio a giudizio per entrambi. Al centro della bufera era finita l’unità operativa di ortopedia del presidio ospedaliero di Ortona. L’addebito, allora, era pesante e circostanziata. Il dirigente medico, nell’esercizio delle sue funzioni, era accusato di aver messo in piedi un «medesimo disegno criminoso» a vantaggio del figlio. Secondo la tesi della procura, l’ortopedico prescriveva infiltrazioni di acido ialuronico a «numerosi pazienti». Una prassi medica comune. Il reato, però, scattava al passaggio successivo. L’accusa sosteneva che il medico «sollecitava» i pazienti ad acquistare il farmaco non in un luogo qualsiasi, ma nella specifica parafarmacia di proprietà del figlio. Il meccanismo, per gli inquirenti, si completava con il ritorno dei pazienti nell’ambulatorio ospedaliero.
Lì, il medico avrebbe eseguito l’infiltrazione «senza pagamento del relativo ticket previsto». Una prestazione in apparenza gratuita per il paziente, ma che, secondo la procura, violava le norme di legge sulla contribuzione al costo delle prestazioni sanitarie. L’accusa quantificava il danno «ingiusto» per la Asl Lanciano Vasto Chieti in almeno 1.295 euro, pari al «mancato introito» delle aliquote non pagate. Le contestazioni, per fatti avvenuti fino al febbraio 2017, erano di abuso d’ufficio consumato e tentato. Quest’ultima ipotesi riguardava i casi in cui il presunto «sollecitamento» non era andato a buon fine, non per volontà del dottore, ma «per una diversa determinazione dei pazienti medesimi».
Ma il processo per l’ortopedico non si limitava a questo. Il dirigente doveva rispondere anche di quattro distinti episodi di rifiuto di atti d’ufficio. Erano fatti contestati tra il 2015 e il 2016. In un’occasione, il 21 maggio 2015, avrebbe indebitamente rifiutato di sottoporre a visita specialistica una paziente. Il 16 marzo 2016, si sarebbe rifiutato di rilasciare una relazione clinica a un altro paziente. E ancora, il 5 agosto e il 7 ottobre 2015, avrebbe negato un ciclo di infiltrazioni ad altre due pazienti. Il lungo procedimento è arrivato al capolinea. E la sentenza ha seguito un doppio binario. Per le quattro accuse di rifiuto di atti d’ufficio, il medico 75enne – assistito dall’avvocato Rocco Giancristofaro – è stato assolto con formula piena, «per non aver commesso il fatto».
Ma per l’architrave dell’inchiesta, l’abuso d’ufficio in concorso tra padre e figlio, è stata la nuova legge a decidere. Il reato non esiste più in quella forma. E così è arrivata l’assoluzione. L’accusa di aver favorito l’attività commerciale del figlio utilizzando la propria funzione pubblica in ospedale è evaporata, dissolta da un tratto di penna del legislatore.
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