Al policlinico bypass più sicuri

I primi a usare una tecnica che riduce i rischi di mortalità

CHIETI. La cardiochirurgia teatina è centro di riferimento internazionale sul controllo di qualità dei bypass coronarici. L'ospedale Santissima Annunziata è il primo al mondo ad utilizzare un'apparecchiatura che permette di evitare morti e complicanze su questo tipo di interventi alle arterie che portano sangue al cuore. Il direttore della cardiochirugia, Gabriele Di Giammarco, ha presentato i dati di questa attività al congresso europeo della disciplina e al meeting della società di chirurgia cardio-toracica del Giappone.

E' emerso che la mortalità per bypass coronarico a Chieti è inferiore all'1 per cento, quando la media italiana è del 2,6. Risultati che, per Di Giammarco, miglioreranno ancora. Perché? «Da qualche mese, utilizziamo, primi al mondo», dice il professore, «un sistema di controllo ecografico intraoperatorio sui bypass coronarici, avvalendoci di un'apparecchiatura speciale, che ci consente di ridurre ulteriormente i rischi dell'intervento». In che senso? «L'eventualità che il bypass non funzioni correttamente si abbassa di molto», osserva l'esperto, «perché siamo in grado di fare una doppia valutazione sull'esito dell'intervento, sia funzionale che morfologica.

In almeno 5 pazienti negli ultimi mesi, con l'ausilio di questa metodica, siamo stati in grado di individuare problemi a livello del bypass, consentendo di risolverli durante l'intervento». Negli ultimi cinque anni, nonostante la complessità elevata dei casi trattati, la mortalità osservata sull'intera attività del centro è risultata costantemente pari al 50 per cento di quella prevista dai calcolatori di rischio internazionali. Non è un caso, che in tanti, anche da fuori regione, chiedano di operarsi nella cardiochirurgia teatina. Devono, però, aspettare in media sei mesi per l'intervento, al di fuori dei casi in urgenza.

L'avvio della palazzina del cuore potrebbe snellire questo aspetto. A che punto è l'edificio? «C'è un'inspiegabile incertezza sul destino della nuova ala», risponde Di Giammarco, «la palazzina M deve accogliere tre unità di cardiologia, emodinamica, chirurgia vascolare, cardiochirurgia, blocco operatorio che prevede un assetto tecnologico avanzato e adatto a un'organizzazione del lavoro all'avanguardia. Ha, inoltre, 12 posti letto di terapia intensiva post-operatoria cardiochirurgica, contro gli attuali 4».Un dato importante. «E' proprio l'esigua disponibilità attuale di questi posti letto», continua infatti Di Giammarco, «a rappresentare il collo di bottiglia dell'odierna attività cardiochirurgica e a produrre una ricaduta inaccettabile sui tempi d'attesa». La convivenza di più specialisti delle malattie del cuore nella nuova palazzina, poi, avrebbe la capacità, per Di Giammarco, di innestare percorsi di diagnosi e cura virtuosi. Resta oggi un ultimo ma non indifferente problema. «Al numero esiguo di posti letto di terapia intensiva», conclude il cardiochirurgo, «si aggiunge la difficoltà alla dimissione di trovare una risposta accettabile per la riabilitazione».

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