Bambini nel bosco, l’analisi di Maria Rita Parsi: «I genitori hanno sbagliato ma non criminalizziamoli»

La psicopedagogista: «La scuola rimane un passaggio chiave dell’età infantile. Ed è lì che i piccoli imparano a relazionarsi con gli altri e scoprono il mondo»
PALMOLI. «La scuola non è solo studio, dentro l’aula i ragazzi imparano a relazionarsi». La psicopedagogista e psicoterapeuta Maria Rita Parsi non ha dubbi: il diritto ad andare a scuola va tutelato, perché è dentro le aule che i bambini imparano «a misurarsi col mondo» e riescono a «ottenere gli strumenti che servono per affrontarlo». È il luogo in cui «ci si incontra tra pari «e si scoprono «altre autorità oltre quella della famiglia». I genitori protagonisti della vicenda di Palmoli, però, non vanno «criminalizzati», sottolinea ancora la psicopedagogista, ma «vanno accompagnati in un percorso condiviso per far capire l’importanza della scuola».
Dottoressa Parsi, una famiglia che si ritira tra i boschi del Vastese per tutelare i figli dai “pericoli” della vita moderna e non li manda a scuola: come giudica questa vicenda che ha dell’incredibile?
«Riesco a comprendere la scelta dei genitori e penso che così come si può crescere male in un castello e diventare problematici, allo stesso modo si può crescere in una catapecchia e diventare brave persone. Il tema di questa storia, però, è un altro: i figli sono dei genitori, ma non gli appartengono. Spesso su questo c’è confusione. La scuola come diritto per i minori è il risultato di una lunga battaglia politica. Non bisogna sciuparlo».
Il diritto allo studio, però, è stato garantito: pare che i genitori fossero anche i precettori dei ragazzi.
«La scuola non significa solo studio. Sotto diversi punti di vista, è un passaggio chiave per i ragazzi, soprattutto a quell’età».
Si spieghi meglio.
«La scuola è il secondo agente educativo dopo la famiglia. È qui che si impara a relazionarsi tra pari – i compagni e le compagne – e con autorità che non siano quelle genitoriali. Per i bambini questa è una fase decisiva della crescita».
Sono tre fratelli: non è una sorta di “micro” classe con un certo grado di socialità al suo interno?
«Sì, fosse stato un bambino solo sarebbe stato diverso, ma rimane il fatto che è una socialità legata alla dimensione familiare, nella quale non ti misuri con il diverso, con il tuo pari che non è della tua cerchia. E poi la scuola è una quotidianità che tutti i ragazzi hanno: che senso ha sottrarla ai propri figli?».
I genitori dicono che è per tutelarli dai problemi della vita moderna, che a loro non piace.
«Questo lo capisco, il mondo in cui viviamo oggi è terrificante. Ma non è negando la possibilità di andare a scuola che si proteggono i figli. Anzi, è vero il contrario: meglio dare loro l’opportunità di misurarsi col mondo così da farli avere gli strumenti che servono per affrontarlo. Anche perché, prima o poi, si scontreranno con questo mondo, è inevitabile. E la scusa di essere cresciuti in montagna non basterà a parare i colpi».
È d’accordo con la richiesta dei magistrati di affidare i tre fratelli ai servizi sociali e limitare drasticamente la loro responsabilità genitoriale?
«Bisogna pensare ad aggiungere cose in questa famiglia, non a sottrarle. I ragazzi forse vivono bene in campagna e probabilmente sono legati ai propri genitori. Loro hanno sbagliato, ma non bisogna giudicarli: vanno accompagnati in un percorso condiviso con le istituzioni preposte che faccia capire quanto la scuola sia importante per i loro figli».
Quindi allontanare i figli dai genitori sarebbe un errore?
«Certo. Chi lo ha detto che questi genitori sono malvagi? Allontanarli servirebbe veramente a poco».
I social hanno emesso un verdetto chiaro sulla vicenda: la maggioranza degli utenti ha appoggiato la scelta di vita di questa famiglia. Perché?
«Lo sconforto ormai abbonda. Prima, non troppo tempo fa, si credeva nel cambiamento e si lottava per ottenerlo. Oggi, invece, ci si sente impotenti, incapaci di incidere sulla realtà. Quindi svignarsela, ritirarsi nella propria isola di mondo è la cosa più semplice».
Anche secondo lei è la risposta migliore?
«No, chi ha paura se ne va, mentre i coraggiosi restano. E a me piacciono i coraggiosi».
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