Palmoli

Bimbi del bosco, ricorso respinto «ma i progressi sono apprezzabili»

20 Dicembre 2025

Per la Corte d’appello, i passi in avanti di Catherine e Nathan vanno valutati dal tribunale. Il legale: «Ecco perché non è una bocciatura, ci aspettavamo questo esito». E ora si valuta il ricorso in Cassazione

PALMOLI. Hanno corso contro il tempo per dimostrare di essere cambiati, ma la giustizia, almeno per ora, può guardare solo all’indietro. La Corte d’appello dell’Aquila ha congelato la scena al 20 novembre, trasformando quella data in una prigione temporale da cui Nathan Trevallion e Catherine Birmingham non sono riusciti a evadere, almeno non con questo ricorso. Per la famiglia del bosco di Palmoli il verdetto è un’ordinanza che ferma l’orologio: i tre figli restano dove sono, nella struttura protetta di Vasto, separati dai genitori che desideravano riportarli a casa per le feste. La speranza di un ribaltamento immediato in secondo grado si è infranta sul dispositivo dei giudici, lasciando intatta la distanza fisica e affettiva che da un mese lacera questo nucleo familiare finito sotto la lente d’ingrandimento di tutta Italia.

Analizzando le motivazioni, però, si scorge un orizzonte diverso, meno cupo di quanto il termine «rigetto» possa suggerire. I magistrati, chiamati a valutare l’operato dei colleghi del tribunale per i minorenni, hanno tracciato una linea di demarcazione netta tra il passato e il presente. Il loro compito, hanno sottolineato nel provvedimento, era verificare se l’ordinanza emessa un mese fa fosse legittima in quel preciso momento storico. E la risposta è stata affermativa: quando i carabinieri e gli assistenti sociali sono saliti a Palmoli per prelevare i minori – è il senso dell’ultima decisione – c’erano tutte le condizioni di legge per farlo. Non sono stati evidenziati «errori macroscopici» o abusi procedurali. In quella fotografia scattata il 20 novembre, il quadro di isolamento, le carenze abitative e l’assenza di un percorso scolastico certificato giustificavano – anche per la Corte d’appello – la sospensione della responsabilità genitoriale.

Tuttavia, tra le righe del dispositivo, c’è una valutazione che ha il sapore della speranza. La Corte ha acceso un faro sui cambiamenti avvenuti nelle ultime settimane, definendo «apprezzabili» i passi in avanti compiuti dalla famiglia. È questo l’aggettivo chiave, il termine che trasforma il rigetto del ricorso in un assist per il futuro prossimo. I giudici riconoscono che Nathan e Catherine non sono rimasti immobili nelle loro convinzioni ideologiche, ma hanno iniziato a smussare gli angoli del loro stile di vita radicale per andare incontro alle esigenze di tutela dei figli richieste dallo Stato.

Questi miglioramenti, però, non potevano essere utilizzati dalla Corte d’appello per cancellare un provvedimento passato. Dovranno essere valutati dai giudici di primo grado, quel tribunale per i minorenni che ha in mano il fascicolo della quotidianità e che può decidere in qualsiasi momento. La palla torna dunque al centro, o meglio, sempre all’Aquila, ma sul tavolo del giudice di merito. È lì che peseranno, questa volta in senso positivo, le novità introdotte dalla difesa. In primis, la disponibilità totale e incondizionata a completare i cicli vaccinali e a sottoporre i tre fratellini a tutte le visite mediche necessarie, abbattendo il muro di diffidenza verso la medicina ufficiale che era stato uno dei primi campanelli d’allarme per i servizi sociali.

Ancora più tangibile è la questione abitativa. Quella casa di pietra e legno nel bosco, priva di comfort e, dicono i giudici, di requisiti igienici standard, non è più l’unica opzione. La famiglia ha formalizzato la disponibilità a trasferirsi in una nuova abitazione, una casa “normale” e agibile messa a disposizione dal ristoratore Armando Carusi, figura che in questa storia sta giocando il ruolo dell’angelo custode. Un trasferimento che permetterebbe il ricongiungimento immediato in un ambiente sicuro, in attesa che vengano svolti i lavori necessari per rendere la dimora nel bosco conforme alle prescrizioni di legge. Anche sul fronte dell’istruzione, il nodo più intricato, la famiglia ha sciolto le riserve: sì all’homeschooling con la presenza fisica di una maestra a casa, per garantire quell’alfabetizzazione che le istituzioni pretendono.

Nonostante questi sforzi, il presente rimane complicato. La quotidianità di Catherine è fatta di visite scandite dall’orologio, di incontri che avvengono solo in corrispondenza dei pasti all’interno della casa famiglia. Mamma e figli si vedono, mangiano insieme, si scambiano affetto, ma poi arriva il momento del distacco, ogni giorno, ripetutamente. Una routine che strazia il cuore e che stride con le immagini allegate dai legali agli atti: foto di vacanze, di giochi nei parchi pubblici, di momenti conviviali in locali della zona che dimostrano come quei bambini, pur vivendo nel bosco, non fossero i “selvaggi” isolati dal mondo descritti nelle prime fasi dell’inchiesta.

L’avvocato Danila Solinas, che con il collega Marco Femminella difende Catherine e Nathan, disinnesca ogni lettura catastrofista: «Non lo definirei in alcun modo una bocciatura», ha spiegato con fermezza la legale. «La lettura del provvedimento dice tutt’altro, ed era quello che già ci aspettavamo. La Corte d’appello doveva semplicemente limitarsi a dire se al tempo, quando era stata emessa l’ordinanza di allontanamento, c’erano i presupposti perché il tribunale potesse farlo oppure no, se vi erano i presupposti formali per l’applicazione di questa ordinanza».

E la conferma di quei presupposti formali, paradossalmente, chiude il capitolo sulla legittimità dell’intervento e permette di concentrarsi totalmente sul merito del cambiamento. «I giudici di seconda istanza non hanno ravvisato lacune macroscopiche tali da determinare il rigetto», ha aggiunto Solinas, non escludendo che la battaglia legale potrebbe proseguire in Cassazione per una questione di principio, ma che la vera partita per riavere i bambini si gioca ora sulla revoca dell’ordinanza da parte del tribunale per i minorenni.

Il tempo, in questa vicenda, non è una variabile neutra. Sul calendario c’è una data cerchiata in rosso che pesa sulle coscienze di tutti i protagonisti: il 25 dicembre. La possibilità che i giudici del tribunale si esprimano prima di Natale è teoricamente intatta. Possono farlo in qualsiasi momento, anche lunedì, prendendo atto di quei “passi in avanti apprezzabili” certificati ormai anche dalla Corte d’appello e dalla relazione della curatrice speciale Marika Bolognese. È a questa speranza che si aggrappa Armando Carusi, l’uomo che ha offerto un tetto alla famiglia e che vive questa attesa con la stessa ansia dei genitori. «Spero ancora che possa succedere qualcosa per Natale. Mi sembra troppo altrimenti», ha raccontato Carusi.

«Se non fosse stato per le festività, forse non si sarebbero create queste aspettative». Le sue parole raccontano l’aspetto più umano e fragile di questa storia giudiziaria. C’è la legge, ci sono i codici, ma ci sono anche i sentimenti di tre bambini che rischiano di passare la festa più importante dell'anno lontani dai genitori. «Penso che ci sia ancora margine di decisione su come passare il Natale», ha aggiunto il ristoratore, cercando di infondere coraggio. Un ottimismo della volontà che si scontra con la stanchezza emotiva dei protagonisti. Carusi, ieri mattina, aveva inviato un messaggio a Nathan per esprimergli vicinanza e fiducia. La risposta del papà è stata laconica, racchiusa in una sola parola digitata su uno schermo: «Speriamo».

In quel «speriamo» c’è tutto il dramma di un padre che ha accettato di cambiare vita, di lasciare la sua casa, di vaccinare i figli e di farli seguire da un’insegnante, pur di riaverli con sé. La Corte d’appello ha detto che il passato non si può cambiare. Ora tocca al tribunale per i minorenni decidere se il presente è abbastanza diverso da permettere a una famiglia di tornare a essere tale, non solo a pranzo e a cena, ma per tutta la vita. Fino a quando non arriva Natale, la speranza resta accesa, tremolante come una candela nel bosco, ma ancora viva.

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