Casa nel bosco, il commento di Anna Rita Parsi: Gli adulti fanno la lotta e poi pagano i bambini

21 Novembre 2025

La famiglia ha le sue responsabilità: qui i piccoli devono andare a scuola. Ma non si può viaggiare dal giorno alla notte senza passare per l’alba

Gli adulti fanno la lotta e, alla fine, pagano sempre i bambini. Succede nelle 56 guerre sparse nel mondo, dove il potere combatte per sopravvivere e loro sono i primi a perdere la vita, e succede nelle nostre belle società. Succede anche a Palmoli, in Abruzzo, dove un giudice sceglie di allontanare tre bambini dalla loro famiglia – che ha delle responsabilità, sia chiaro – senza tener conto delle conseguenze, dei danni che subiranno questi bambini, passati, da un momento all’altro, dal bosco in cui sono cresciuti a una casa famiglia, come viaggiare dal giorno alla notte senza passare per l’alba.

Succede perché gli adulti, a volte, si comportano come se non lo fossero e vedono nella mediazione una debolezza anziché un punto di forza. Perché è vero che questi bambini – ne sono profondamente convinta – debbano andare a scuola. La loro crescita passa per questo spazio di socialità che è il confronto tra pari, il confronto con mondi diversi da quelli familiari. La scuola è il ponte che permette un ingresso solido in società di questi adulti del domani. Senza la scuola, in uno stato di isolamento relazionale, l’unico faro che orienta la crescita di un bambino è la propria famiglia. In queste condizioni chi sarebbe in grado di rapportarsi con un mondo che non ha mai conosciuto? Come potrebbe confrontarsi con l’educazione ricevuta dalla famiglia e riconoscerne i meriti piuttosto che criticarla. Senza un metro di riferimento esterno a noi, si rischia di essere come uno specchio vuoto, che riflette nient’altro che se stesso.

Questa è una parte della verità. Ce n’è un’altra, però, ed è quella di una coppia di genitori che, forse, inseguendo un’utopia, ma ha sempre pensato a fare il bene dei propri figli. E possiamo biasimarli in toto? Questi bambini vivono un mondo che non è quello virtuale. Crescendo a contatto con la natura, con gli animali hanno sviluppato molte meno preoccupazioni e paure dei loro coetanei confinati in casa, attaccati al telefono e disabituati a condividere. Questi genitori non sono violenti, amano i propri figli e in questo modo pensano di tutelarli. Per questo servirebbe il buon senso, l’età adulta dovrebbe essere quella della ragione, del confronto e invece nessuno si è seduto a un tavolo. Bisognerebbe parlare con questi genitori, accompagnarli in un percorso che li renda consapevoli di quanto la scolarizzazione e la socializzazione siano passaggi fondamentali nella crescita. Formare e non punire, preferire il dialogo allo strappo, il confronto all’allontanamento. La verità è che nessuno si è messo nei panni di questi bambini, ha visto i rischi della situazione dilaniante a cui attualmente sono sottoposti. Non è in un modo così feroce che si conquista la socialità. E ora, che fare? Bisogna in primo luogo parlare con questi ragazzi, far capire loro che non perderanno i loro genitori e che le abitudini che hanno plasmato la propria vita fino a ora non erano sbagliate. Si deve ripartire da qui, dal dialogo, per raggiungere l’unico obiettivo che conta raggiungere: il bene di questi bambini.