Chieti, il giudice: «Truffa da mezzo milione del falso invalido all’Inps»

Un 68enne di Casalincontrada sorpreso a fare lavori in giardino malgrado la sedia a rotelle. Il gup De Ninis lo rinvia a giudizio, la difesa: infortunato dopo un incidente stradale nel 1991

CHIETI. Secondo i medici non poteva più camminare. Per muoversi doveva utilizzare la sedia a rotelle, ma l’occhio indiscreto di un vicino di casa lo scopre a fare lavori di giardinaggio e a compiere opere con attrezzi da muratura. E così lo denuncia in Procura. Parte in questo modo l’indagine che vede coinvolto un residente di Casalincontrada, Vittorio Sigismondi, che ieri mattina, al termine dell’udienza preliminare, il giudice Luca De Ninis ha rinviato a giudizio con l’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato. Secondo l’accusa, Sigismondi era un falso invalido che percepiva una pensione Inps e una rendita Inail senza averne diritto.

In particolare, dal momento dell’incidente che lo avrebbe costretto in maniera permanente sulla sedia a rotelle, avvenuto nel 1991, l’uomo ha iniziato a percepire una pensione d’invalidità dell’ammontare di 847 euro al mese, oltre all’assegno d’accompagnamento dell’Inail, del valore complessivo di 562.291 euro, somme alle quali vanno aggiunti ulteriori 73.560 euro a titolo di pagamento di presidi per lo stato di invalidità (tra cui la sedia a rotelle di ultima generazione). Stando alle accuse l’uomo avrebbe tratto «in inganno i funzionari preposti al riconoscimento dei benefici conseguenti al suo apparente stato di disabile e ai successivi controlli della stabilità di questo stato, simulando la totale incapacità di deambulare come conseguenza permanente dell’infortunio».

La difesa, affidata all’avvocato Francesco De Cesare, racconta però tutta un’altra storia, ripartendo da quell’incidente stradale del 1991 che Sigismondi ebbe mentre si recava al lavoro nella sede della Laterizi Valpescara. Nell’incidente l’uomo riportò fratture alla spina dorsale e come conseguenza l’impossibilità di muoversi autonomamente. La difesa mette in dubbio sia la testimonianza del vicino di casa con cui, svela, c’erano stati screzi dettati da futili motivi di vicinato e da questioni di confine, sia le risultanze delle riprese fatte fare dalla Procura nel corso delle indagini, che non risulterebbero chiare a tal punto da individuare senza ombra di dubbio se la persona che faceva i lavori in casa e in giardino fosse effettivamente l’imputato. Per la difesa, infatti, si trattava di una terza persona, chiamata appositamente per fare quel tipo di operazioni che il padrone di casa non era più in grado di portare a termine autonomamente a causa del suo stato. Sarà il tribunale monocratico a stabilire chi ha ragione nel processo che partirà il 2 marzo.