Chieti, maxi evasione da 2 milioni di euro: la cooperativa del lavoro nero

Falsi contratti e lavoratori irregolari (due col reddito di cittadinanza)  attraverso un centro estetico a San Giovanni Teatino e un parrucchiere allo Scalo. E aveva ricevuto anche contributi per l'occupazione dalla Regione con i quali è in realtà stata acquistata una villa all'asta

CHIETI. Una cooperativa di lavoro proprietaria di un centro estetico a San Giovanni Teatino e di un salone per parrucchieri a Chieti scalo è al centro delle indagini che hanno portato la guardia di finanza a scoprire una maxi evasione per complessivi 2 milioni di euro.

I rappresentanti legali delle società coinvolte sono stati segnalati alla Procura per i reati di indebita percezione di erogazioni pubbliche, autoriciclaggio e riciclaggio e sono stati destinatari di sequestri di 25mila euro e di quota parte di un immobile del valore di circa 67mila euro. Al rappresentante legale della cooperativa sono state applicate la misura coercitiva dell’obbligo di dimora e quella interdittiva dall’esercizio di attività imprenditoriali.

Dalle indagini, durate un anno e condotte anche nel periodo di emergenza covid da parte dei finanzieri della Sezione tutela economia del Nucleo di polizia economico finanziaria di Chieti, è emerso che la cooperativa negli ultimi tre anni aveva impiegato 52 lavoratori, dei quali 24 "in nero" e 28 irregolari con le qualifiche di parrucchieri, estetista e addetti alla reception. Fra i lavoratori impiegati due sono anche risultati percettori dell’indennità di disoccupazione e, pertanto, segnalati alla sede Inps per il recupero delle somme ricevute. A carico della cooperativa sono state contestate violazioni per circa 180mila euro in materia di lavoro e legislazione sociale tra mancati riposi settimanali, non rispetto dei limiti orari settimanali previsti dal contratto ed il pagamento dei salari senza il rispetto della tracciabilità.

Inoltre, sempre secondo la Finanza, la cooperativa aveva chiesto indebitamente alla Regione Abruzzo contributi pubblici destinati a promuovere l’occupazione per circa 200mila euro – dei quali la metà già erogati e la restante parte bloccata in extremis grazie all’intervento degli investigatori - presentando all’Ente un documento di regolarità contributiva che non rispecchiava affatto la realtà aziendale.

Non solo. Le somme nel frattempo ricevute sono state reinvestite in un’attività immobiliare svolta da una società di famiglia ed utilizzate per l’acquisto all’asta di una villa. Anche in questo caso sono stati scoperti atti volti a celare la reale provenienza del denaro e ad impedire di risalire all’origine illecita delle somme.

copyright il Centro